lunedì 24 marzo 2014

L'ultimo saluto: era io padre!


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Cinquanta giorni, un figlio li accompagna, All in Twilight del fotografo Antonio De Luca

L’ultimo saluto
Tutto in penombra

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Non chiedermi come sto, piango.
Non chiedermi se mi manca, è sempre con me. Era mio padre.
La stella polare è sempre stata un punto di riferimento fondamentale per il navigante così come il padre lo è per il proprio figlio. Una luce guida sempre tanto brillante: impensabile scoprire che un giorno possa spegnersi ma accade e quando la causa di tale estinzione è la malattia si cercano delle risposte che spesso non vengono trovate. Unica consolazione, se di consolazione si può parlare, è che il male, al contrario di una morte improvvisa, concede sempre del tempo che diventa prezioso e non va sprecato. È un tempo che aiuta a preparare dignitosamente lo spirito all’inevitabile estremo saluto. È un tempo che Antonio De Luca, figlio di Nicolò, ha coraggiosamente usato all’insegna dell’amore, dell’affetto, della dignità e della memoria.
Nicolò aveva 87 anni quando gli è stato diagnosticato il male. Un uomo non più giovanissimo la cui malattia potrebbe lasciare indifferenti i più che sono al di fuori della sua cerchia parentale o di conoscenze. Antonio, invece, con la sua coraggiosa dimostrazione d’affetto e il cuore gonfio d’orgoglio filiale, è riuscito a elidere il distacco emotivo che un estraneo potrebbe provare dinnanzi alla notizia della dipartita di un anziano sconosciuto.
Antonio De Luca è un artista, un fotografo che, metabolizzata la notizia della malattia che porterà alla morte il genitore, decide di scrivere il diario di quegli ultimi cinquanta giorni di vita. Lo fa col mezzo che meglio conosce, la fotografia, ed è proprio questa scelta tecnica che rende toccante e coinvolgente il suo dolore. Non è più la morte di un uomo qualunque di 87 anni.
Cinquanta giorni in bianco e nero, tutto in penombra perché certi momenti possono essere vissuti solo nell’intimità della penombra. All in Twilight, tutto in penombra, appunto, è il titolo che De Luca ha dato al suo racconto. Cinquanta giorni di vissuto quotidiano, i sorrisi di Nicolò alla fotocamera, le giornate in un letto d’ospedale circondato dai figli, amici, medici, infermieri, volontari e dalla moglie che in uno scatto rappresenta il momento più toccante e significativo di tutto “All in twilight”.
Proprio quella foto, intitolata “era mio padre”, ha l’immenso potere di muovere i sentimenti delle persone, degli “estranei” non più tali. È uno scatto nel quale ci si immedesima, ci si riconosce nella donna che con amore e dolore abbraccia e bacia con un ultimo saluto il suo amato.
Un reportage toccante che non trascura nulla di ciò che Nicolò ha vissuto durante quegli ultimi giorni, nemmeno le decine di flaconi di medicinali esauriti e accumulati tutt’insieme o la morfina per attenuare il dolore ma che nulla può contro il male che lo consuma. Quegli ultimi giorni, comunque, devono essere riempiti ancora dalle cose della vita come se la vita non lo stesse per lasciare ed è così che le sue passioni gli tengono compagnia: le schedine del superenalotto tra le mani e la sua copia della gazzetta dello sport… e sorrisi, tanti sorrisi delle persone che gli stanno accanto e non sono mai sorrisi di circostanza.
Antonio De Luca, con la complicità di Nicolò, ha voluto raccontare a tutti chi era suo padre. Fotografare, come lui stesso afferma, era diventata una sorta di gioco. Un rincorrersi e riprendersi i momenti di una vita. Un racconto che noi tutti ascoltiamo con attenzione e partecipazione.
Volendo cercare un parallelismo artistico si può pensare a un altro grande fotografo, al giapponese Nobuyoshi Araki che nel suo Winter journey ha realizzato una raccolta di scatti fatti alla moglie, morta di cancro alle ovaie nel 1990, durante i suoi ultimi giorni di vita.
Però non dobbiamo pensare al lavoro di De Luca come a una ricercata operazione artistica. Il suo è stato un sincero e intimo dialogo con suo padre durante quegli ultimi cinquanta giorni. Perché Nicolò era suo padre.

Antonio Delluzio

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