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giovedì 8 settembre 2011

L'8 settembre delle vecchie zie

L’Italia è un cavallo scosso che ha perduto il suo cavaliere. Per me­tà fu imprudente il fantino, per metà gli resero impossibile la monta. Il ca­vallo corre smarrito, si ferma, procede a caso, ma il palio continua. Una volta, quando il Paese si scopriva orfano o ab­bandonato, ricorreva alle vecchie zie, come diceva Longanesi. Le vecchie zie invocate per salvarci erano l'America e la Chiesa, ma anche le Banche, la Confindustria, il Sindacato, i Militari o i suoi succedanei, i Magistrati. Ma oggi anche loro sono inguaiate; e la zia Em­ma, la zia Susanna e la zia Ilda non so­no un rimedio alla brutta situazione, semmai un sintomo della medesima. Non solo Papà governo e Mamma poli­­tica, ma anche le Zie sono dentro la cri­si e hanno perso credibilità.

Le vecchie zie erano un bene rifugio, Aldo Palaz­zeschi le descrisse nelle Sorelle Mate­rassi (si chiamavano Teresa e Carolina come le mie care, vecchie zie). Resta il Nonno Giorgio, ma i nonni al Quirina­le fanno prediche inutili, come disse un suo grande predecessore, Einaudi. Mai come quest'anno si sente aria di 8 settembre, data ricorrente del nau­fragio nazionale con spappolamento interno. Si rompono le righe, c'è chi fugge, chi tradisce, chi infierisce, chi patisce. Ma sarebbe assurdo arrender­si a invasori ignoti, firmando armistizi con gli spettri. Non siamo alla morte della patria, come si disse dell'8 set­tembre '43, forse stiamo uscendo dal tunnel. Però siamo un paese spaesato, allo sbando. Il cavallo è scosso, i fanti­ni litigano tra loro e pensano solo alla sella. Campa cavallo che merda cresce.
Marcello Veneziani