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lunedì 3 settembre 2012

Come nasce la Montagnetta di Milano, chiamata ufficialmente "Monte Stella"

Ho ricevuto una e-mail molto interessante, direi quasi commovente, per chi è nato e vive a Milano e a Milano ama ritrovare "pezzi di storia", in questo caso, della II Guerra Mondiale.

Scrive il Signor Giuseppe Della Valle a proposito della guerra, del suo papà e di lui:

" Mio padre è stato richiamato subito nel Giugno 1940 e fino all'8 Settembre abbandonato in una landa deserta di S.Maria Capua Vetere come telemetrista nella contraerea.
Quando è tornato aveva perso la cognizione della realtà del comune vivere. Sapeva guidare ed aveva fondamentali nozioni di meccanica pratica. Ha scelto come opportunità immediata di fare quel lavoro.

Io: nato nel 1929 aiutavo la famiglia lavorando come garzone (apprendista non esisteva ancora) in una officia elettromeccanica di Paderno Dugnano:Imparato il mestiere e cresciuto, sono andato nella raffineria di Rho(ora Fiera Campionaria) e poi all'ANIC di Ravenna.
Ora vivo a Forli. Il lavoro imparato mi ha permesso, sempre per lavoro, di girare un po' per il mondo.

Mi preme tramandare la Storia della Montagnetta perchè è molto particolare e perchè molte persone di buona volontà hanno contribuito a fare un regalo alla città, lo faccio perchè la memoria deve essere conservata....."


I STRAVACHIN

A Milano, città piatta, formata dall'alveo dei fiumi che confluivano nel Po, si erge una collinetta alta 110 metri, anomala per la morfologia del terreno: Monte Stella o “la muntagneta” . Occupa circa mezzo chilometro quadrato della zona dietro l'ippodromo/stadio di S.Siro. E' diventata una zona residenziale e da li si vede tutta Milano e l'arco alpino, nei giorni di bel tempo.

La “muntagneta” è stata fatta con le macerie di Milano prodotte dai Lancaster inglesi con i bombardamenti del 7, 12, 14,15 Agosto del '43.

La “muntagneta” è costituita da 25 milioni di metri cubi della Milano di allora. Ricordi di vita vissuta: il salotto buono, le posate del servizio, il quadro del nonno, ma anche rifiuti tossici nocivi, industriali, ospedalieri, (era stato colpito anche l'ospedale Maggiore): Il tutto senza causare inquinamento delle falde, intervento di ecologisti, proteste varie.

Il merito di aver sgombrato la città da questi milioni di metri di macerie, va dato ai “stravachin” che prendono il nome dal milanese “stravacà” che significa rovesciare.
Era un popolo di disperati, tornati dalla guerra senza più lavoro,con l'esigenza di sopravvivere e mantenere una famiglia.

Inizialmente si attrezzarono con carretti e pale, poi con autocarri ribaltabili (da cui l'etichetta di “stravachin”) rimediati all'ARAR di Livorno (un campo immenso, pieno di ogni ben di Dio), residuati bellici a basso prezzo in quanto svenduti dagli Alleati, cui non conveniva trasportarseli a casa. Era una corsa per prendersi i mezzi migliori :Dodge, Bedford, e i mitici GMC, 4 mc di cassone 3 assi e ben 10 ruote motrici



Il consumo di carburante era bestiale. Sorsero quindi attorno ai “stravachin” un'altra fauna di eclettici meccanici che sperimentavano le cose più assurde: carburatori che miscelavano acqua alla benzina, Motori del GMC (6 cilindri) munito di spruzzatori e pompa Bosh del 626
FIAT a gasolio
Ho visto l'ottimo motore Ford 8V funzionare egregiamente dopo che gli erano stati tolti 4 cilindri che consumavano benzina inutilmente.....



Arrivò il metano. Le bombole erano contingentate, l'averle creava non pochi problemi. Il rifornimento era vicino al Tirasegno, via Papa o Somalia, una fila dalle 6 di mattina.



l problema nasceva per il trasferimento dei mezzi “ARAR” da Livorno a Milano, in quanto il consumo di carburante era elevatissimo. Se si schiacciava il pedale dell'acceleratore un po' velocemente, nel carburatore veniva spruzzato un getto di benzina. Si vedevano allora
piccole vecchie automobili a metano o anche a gasogeno che trainavano enormi autocarri per portarseli a casa.


Anche mio padre, tornato a casa dopo tre anni di militare, non trovando di meglio, acquistò un vecchio camioncino Ford anni 30, lo portò da un fabbro fantasioso che lo rese ribaltabile bilanciando il cassone in modo tale che,una volta sbloccato, riusciva a ribaltarsi con una
brusca freata indietro, rovesciando il contenuto.
La manovra era abbastanza azzardata in quanto bisognava farla sul ciglio di una scarpata del terrapieno creato dagli scarichi precedenti. Aveva però i suoi vantaggi: lo scarico era immediato a differenza degli altri a pistone oliodinamici che richiedevano più tempo, cosi si poteva fare qualche viaggio in più e avere un maggior introito.

Al carico sopraintendeva”el geometra”, capocantiere improvvisato ex UMPA o dipendente
del genio civile che staccava un bigliettino, ad ogni viaggio con la cubatura ad occhio del carico Per aumentare la cubatura, venivano messe lateralmente al cassone “i spundin”: tavole di legno legate con fil di ferro che convincevano il geometra a mettere un mezzo metro cubo in più sul bigliettino. Alla sera o al fine settimana,alla consegna dei bigliettini i stravachin ricevevano “breve manu” il compenso pattuito.


La muntagneta pian piano si innalzava,raggiungere la cima era faticoso,la strada piena di buche metteva a dura prova i mezzi. I radiatori si rompevano, e per proseguire si inventò uno stratagemma: mettere qualche pugno di “farina gialda” (farina di granoturco) nel radiatore che bloccava subito la perdita per quel giorno.

Anche il metano dava problemi. I tubi in acciaio che collegavano le bombole erano saldati con ottone e borace, le sollecitazioni rompevano le saldature, l'autista, con incosciente coraggio, penetrava in una nube bianca esplosiva per chiudere subito le bombole.

I riduttori che sostituivano il carburatore, erano della Tartarini di Piacenza, a Milano non si trovavano, raggiungere Piacenza senza Autostrada del Sole e il ponte sul Po semidistrutto,era un'altra avventura.

Qualcuno riusciva ad arrangiarsi con riduttori per bombole ossiacetileniche e membrane di servofreni cannibalizzati .

Nei cortili attorno alla zona di via Imbonati -piazzale Maciacchini, sorsero le prime autofficine:elettrauto, “balestrat” ( gli automezzi militari erano fatti per portare una trentina di soldati o qualche cassa di munizioni,non macerie pagate un tot per tonnellata:le
balestre andavano rinforzate se vuoi guadagnare!) “gumat”:la qualità delle gomme era scadente. Erano rimaste al sole e al freddo per molto tempo. Se il battistrada era ancora buono,si riparavano inserendo delle toppe tenute assieme con particolari bulloni a testa arrotondata
fabbricati appositamente per quell'uso, poi radiatoristi,carrozzieri,meccanici tuttofare.

Il ritorno a casa non sempre era lieto.....,, < han sarà la discarica e devo andà alla muntagneta>.... erano notizie ferali come fosse morto qualcuno.

Non vi erano associazioni, autorità che sovraintendesse; nessuna manifestazione, sciopero per qualcosa, solo lavorare in silenzio e molte volte bestemmiare!

Solo qualcuno, non so chi, raggiunti i 110 metri, fece fermare l'innalzamento della muntagneta. Dicono che il suo peso, gravando sul terreno non sufficientemente compatto, tendesse a sollevare le case che contornavano la sua base.




Lo sgombero delle macerie non si fermò per questo. I stravachin si buttarono a riempire cave in disuso e avvallamenti attorno alla città. Molte volte pagando per poterlo fare.

In questo modo si resero disponibili molte aree che col tempo divennero edificabili con vantaggio di Milano

Giuseppe DellaValle



Ringrazio il sig. Della Valle per la sua bellissima testimonianza e per le foto che ci ha inviato, aggiungo che alla " costruzione" della montagnetta partecipò anche mio padre, allora rientrato da Mauthausen, che diresse lo scarico degli autocarri dell'Alfa Romeo, la cui fabbrica era a pochissima distanza da quella che sarebbe poi diventata una vera piccola montagna.

Manuela Valletti