Né può consolare il Pd il fatto che la sua caduta verticale si inserisca nella débâcle di tutta la sinistra europea. In molti Paesi, infatti, dalla Spagna all’Inghilterra, i partiti socialisti e laburisti erano al governo. E chi è al governo, si sa, durante le grandi crisi economiche paga un inevitabile scotto. Dovrebbe trarne vantaggio l’opposizione. Invece Franceschini, che sta all’opposizione, ha perso 7 punti percentuali. Che cosa ci sia da esultare, Dio solo lo sa. Comunque, contento lui.
D’altro canto, se saranno confermati i risultati delle proiezioni, è evidente che per il Pdl non si è trattato di un successo. Tutt’altro. Il voto andrà analizzato e bisognerà capire che cosa non ha funzionato. In prima battuta si è subito puntato l’indice sull’astensionismo al Sud. Può essere. Ma va anche detto che forse il partito non è stato così compatto come ci si sarebbe aspettati nel difendere il leader dall’aggressione che ha subito nell’ultimo mese. Soprattutto ha colpito il rumoroso silenzio con cui Fini, numero due del Pdl, ha assistito allo scempio della campagna elettorale. E forse è stato un errore anche porre l’asticella del successo oltre il 40 per cento, una percentuale possibile alle elezioni politiche, non alle europee, dove l’elettorato del centrodestra è tradizionalmente più tiepido.
Nonostante questo il risultato complessivo del centrodestra è tutt’altro che fallimentare. Il Pdl ottiene comunque più voti rispetto a quelli ottenuti da Forza Italia e An alle europee di cinque anni fa (erano al 32,5 per cento, ora sfiorerebbero il 36 per cento). Si tratta di un risultato significativo perché finora tutti i matrimoni fra i partiti, nel panorama politico italiano, non erano mai stati elettoralmente efficaci. I vari Asinelli e Tricicli hanno sempre preso meno voti rispetto alla somma delle singole formazioni che li componevano. Così sta succedendo anche al Pd. Il Pdl, invece, unisce Forza Italia e An e, rispetto al 2004, guadagna consensi.
Il Pdl, stando sempre alle proiezioni, perde qualcosa rispetto alle politiche del 2008. Neanche molto, se si pensa alle batoste che hanno subito negli altri Paesi europei i partiti di governo: sostanzialmente il giudizio degli italiani sulla gestione della crisi non è così funereo come certi gufi volevano far credere. Inoltre alla diminuzione di voti del Pdl fa riscontro la crescita della Lega: complessivamente la maggioranza tiene i suoi voti, e non è poco considerato tutto quello che è successo in questo anno.
Per il resto non c’è molto da dire: l’Udc veleggia intorno al 6 per cento; i radicali, nonostante il rush finale a suon di grida, lacrime e digiuni non sembrano in grado di fare il miracolo che li salverebbe dal malinconico addio a Bruxelles; la nostra sinistra in stile «addavenì baffone» scompare per sempre, oltre che dal Parlamento italiano, anche dal Parlamento europeo, a dimostrazione del fatto che moltiplicare i giornali finanziati dai contribuenti non serve a moltiplicare i voti. L’impressione è che, nonostante tutto, gli italiani confermino la scelta verso il bipolarismo.
Oggi arriveranno i dati definitivi delle europee e li si potranno combinare con i risultati delle amministrative. Allora il quadro sarà più chiaro. Ma fin d’ora è possibile dire che l’attacco a Berlusconi non è riuscito. Hanno cercato di colpirlo sul piano personale, hanno puntato diritto al cuore dell’uomo ancor prima che del politico, hanno usato tutti i mezzi leciti e illeciti, sollevando un polverone mefitico, che ci ha ammorbato per un mese. Non hanno esitato a immergere le loro menti, un tempo schizzinose nei bassifondi del cicaleggio da coiffeur, con tutto il rispetto per i coiffeur. E alla fine rimangono con quello che hanno seminato: il nulla. Il Pd s’è fatto trascinare da Repubblica e ha cavalcato disperatamente il gossip. E gli italiani hanno risposto mandandolo a quel País.
Mario Giordano