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mercoledì 17 agosto 2011

La crisi, l’euro e l’ennesima inutile stangata


Le radici dell’attuale crisi mondiale vanno, a mio parere, cercate nel sistema monetario internazionale. Cominciamo con quella che era (e forse ancora è) la moneta regina degli scambi internazionali: il dollaro americano. Dopo la svalutazione della sterlina di fine 1967 e il successivo scioglimento del Consorzio dell’oro (Gold Pool, l’organismo che avrebbe dovuto mantenere fisso il prezzo dell’oro a $35 l’oncia), il sistema monetario internazionale smise di essere un Gold Exchange Standard (sistema a cambio aureo) e divenne un dollar standard, un sistema basato sul dollaro. La decisione di Nixon del 15 agosto 1971 di abolire la convertibilità del dollaro in oro fu solo un atto notarile, l’attestazione che le riserve auree degli Stati Uniti non erano sufficienti a garantire la convertibilità in oro di tutti i dollari in circolazione. Comunque sia, da quasi mezzo secolo il dollaro è il principale strumento di riserva delle banche centrali e il mezzo di pagamento internazionale più diffuso.
La creazione della moneta unica europea ha gradualmente eroso la supremazia internazionale del biglietto verde. Come già ricordato, il dollaro ha perso il 15% rispetto all’euro negli ultimi 12 mesi e il 10% rispetto a tutte le altre monete. Questo calo del dollaro ha avuto conseguenze benefiche sull’economia americana: anche se le esportazioni degli USA rappresentano solo il 10% del pil americano, la loro crescita ha rappresentato il 50% del tasso di sviluppo di quel paese nello stesso periodo. D’altro canto, il tasso d’inflazione interno americano negli ultimi dieci anni è rimasto inferiore al 3%; si può quindi avere una moneta forte all’interno e debole all’esterno.
Il discorso sull’euro è diametralmente opposto: si è notevolmente apprezzato sull’estero (non solo nei confronti del dollaro), con danno notevole per le esportazioni di quasi tutti i paesi dell’eurozona, e continua ad avere un potere d’acquisto interno molto al di sotto di quello previsto dalle parità di Maastricht. Non credo ci sia una persona in Italia disposta a sostenere che un euro ha lo stesso potere d’acquisto che avevano 2.000 lire; a voler essere di manica larga, un euro “vale” non più di mille lire. Con due milioni di lire al mese si campava anche decorosamente, con mille euro certamente no.
Entrambi i fattori – alto valore esterno, basso valore interno – sono recessivi: il primo penalizza le esportazioni e incoraggia le importazioni, il secondo, deprimendo il potere d’acquisto delle famiglie, riduce i consumi. Aumentare le tasse in questa situazione è semplicemente demenziale perché rende ancora meno probabili le possibilità di crescita e, invece, rende molto più plausibile la possibilità di un ristagno se non addirittura di una recessione.
I tedeschi, che sono i maggiori beneficiari dello spostamento della domanda di riserve dal dollaro all’euro, orgogliosi della solidità dei loro titoli di Stato, si ritengono autorizzati ad imporre una bigotta e stolta politica “di rigore” agli altri membri dell’eurozona, indebolendo la credibilità dell’intera costruzione monetaria europea attraverso l’acquisto di titoli pubblici degli stati membri e la creazione di moneta.
Sono stati organi europei a imporre la vergognosa, inutile e iniqua manovra che il governo ha annunciato e lo hanno fatto per salvare le capre dell’euro e i cavoli dell’assistenzialismo di Stato.
Stando così le cose, non mi vergogno affatto per avere sempre avversato, con considerazioni “tecniche” non “politiche”, l’introduzione dell’euro: salvo la Germania, questa moneta comune sta uccidendo l’economia di quasi tutti gli altri paesi. Il governo italiano si ripromette di difendere l’assistenzialismo di stato fino alla morte dell’ultimo contribuente, quello tedesco vuole salvare l’euro forte anche se ciò dovesse comportare il fallimento della maggior parte dei paesi che lo usano! C’è solo da sperare che entrambi questi sciagurati propositi vengano frustrati dagli eventi.
dal Blog Antonio Martino