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domenica 7 novembre 2010

L’etica criminale della famiglia italiana

Un grande sociologo americano, Edward Banfield, nel 1958 pubblicò in inglese un saggio fondamentale intitolato “Le basi morali di una società arretrata” in cui vennero descritte, dopo una ricerca sul campo realizzata in Lucania, le realtà che egli stesso definì la base del “familismo amorale”. Il paese della ricerca venne convenzionalmente chiamatoMontegrano e i suoi abitanti i montegranesi. C’è chi dice che si trattasse del borgo di Chiaromonte, ma questo dettaglio non fu mai chiarito fino in fondo. Il paradigma fondamentale del familismo amorale si basa sull’ipotesi che si debba massimizzare unicamente i vantaggi materiali di breve tempo della propria famiglia nucleare, supponendo che tutti gli altri si comportino allo stesso modo. Le conseguenze pratiche sulla società e sull’etica pubblica e privata sono evidenti. Nessuno persegue la verità nell’interesse comune salvo quando ne tragga un vantaggio proprio o familiare. Chiunque, persona o istituzione, affermi di agire nell’interesse pubblico sarà ritenuto un imbroglione. Solo gli ufficiali pubblici si occupano di affari pubblici perché pagati per farlo, mentre i cittadini se lo facessero sarebbero mal visti dalla collettività, e soprattutto la legge sarà trasgredita ogni qual volta sembrerà possibile evitarne le conseguenze, soprattutto se le vive per l’interesse del nucleo familiare. Si tratta, insomma, della base antropologica di molti dei fenomeni che sono stati descritti come “humus” per micro o macro devianze, fino a quelle che fanno da coltura per la criminalità organizzata mafiosa o camorristica. Anche nei micro sistemi come Avetrana, gli automatismi possono raggiungere la soglia del paradosso. Di fronte ad una figlia che ha fatto (forse) un reato orrendo, anziché ricercare la verità e accettarne le conseguenze anche punitive e dolorose, papà e mamma reagiscono ognuno a proprio modo e come possono. Il padre faticatore e un po’ subalterno nel sistema si assume tutte le colpe e responsabilità, fino a scegliere di apparire un orrido mostro “tanatofilo” e stupratore di cadaveri. Pur di apparire efficacemente l’unico capro espiatorio mentre la sagace ragazzona (forse) colpevole è impegnata venti ore al giorno in interviste, talk show e dirette televisive. La madre, silenziosa come una sfinge, e monumentale come una “mater mediterranea”si preoccupa di fare muro con un silenzio bronzeo e dignitoso, salvo nascondere nel bagagliaio dell’auto la corda (forse) servita a finire il collo, già strizzato con le mani da Sabrina, della piccola Sarah. L’importante è che la famiglia, anzi, la diretta discendenza esclusiva, perfino al di fuori dei legami di parentela più allargata venga difesa e presidiata ad ogni costo. Il familismo amorale ha molte cause, probabilmente legate ad un’antica società contadina in cui era frequente che i genitori, fonte di reddito, potessero morire precocemente lasciando discendenti in condizione di grave e non dignitosa indigenza. Di qui la necessità di sacrificare a questo bene supremo qualsiasi valore, qualsiasi morale, qualsiasi legge e qualsiasi bene interiore. Come ben si vede si tratta di un meccanismoche, se le cose stanno come pare, ha toccato nel caso di Avetrana le sue massimeedestreme conseguenze. Ma anche in altri cattivi esempi il “tengo famiglia” ad ogni costo ha effetti devastanti sull’educazione pubblica e civile. Come quando ad esempio, di fronte ad una nota di demerito a scuola, a rischiare un ceffone educativo non è il pupo o la pupa ma l’insegnante che non è stato capace di comprendere i bisogni e le fragilità del pargolo, magari molto cresciuto. Sabrina pare che fosse ben più che «arguta e sagace» come è stata definita nella sentenza del gip. Probabilmente come accade in molte famiglie purtroppo, anche in condizioni per fortuna meno drammatiche, era lei a dettare tempi, regole e metodi, dell’assetto familiare. Anche nel Mediterraneo non più quindi “padri padroni”né “madri dei Gracchi”, bensì figlie e figli narcisisti, viziati e improvvisamente arroganti o perfino violenti. Spenti i riflettori sulla tragedia e il grand guignol di stupri e cadaveri saponificati nei pozzi, rimarrà l’amara constatazione di un mix in cui il peggio dell’antico e del moderno, anzi postmoderno, è riuscito a miscelarsi in un’alchimia velenosa. Il familismo amorale è quindi un veleno verso il quale produrre anticorpi perché la famiglia, che dovrebbe servire a proteggere il bene degli individui anche da sé stessi, oltre che dall’arro – ganza o dalla violenza della collettività e della società, non diventi un nido di uova tossiche come quello di certi piccoli serpenti velenosi delle pietraie assolate e ad un tempo buie in cui in un pomeriggio di agosto un rancore, magari a lungo covato per una gelosia tutta femminile, è diventato furia improvvisa. E di fronte alle conseguenze irreparabili il fragile papino era pronto all’olocausto di sé e la vigorosa madre a presidiare un cesto di panni sporchi e insanguinati che avrebbero dovuto comunque essere lavati sempre e soltanto tra impenetrabili pareti domestiche.
Da Libero