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domenica 11 marzo 2012

“Prigionieri del silenzio? Parlate con il cuore Il confronto con sé stessi rende più autentici” di Carlo Maria Martini

Ho sempre pensato che parlare con i giovani è più fruttuoso che parlare dei giovani. Queste lettere me ne danno l’occasione e vi ringrazio per la vostra sensibilità umana e spirituale. In verità voi mi cogliete nel mezzo di un processo che penso sarà ancora un po’ lungo. Mi trovo in una condizione che non è ancora di totale afonia. Grazie all’aiuto di terapisti e con l’ausilio di mezzi tecnologici posso ancora comunicare, seppur con molta fatica. Non riesco quindi a descrivere bene ciò che sto vivendo, se un chiudersi della comunicazione verbale o lo sforzo di parlare ancora malgrado tutto. Non ho paura del silenzio. Mi vado chiedendo tuttavia cosa voglia dirmi il Signore con questa crescente difficoltà che da un lato sto combattendo, dall’altro sto accettando. Invoco il patrocinio di Papa Wojtyla, perché il suo gesto più umano fu quello di battere il pugno sul tavolo quel giorno in cui ebbe l’evidenza di non poter più comunicare a voce con la gente. Lui sa quanto sia faticoso non poter esprimere verbalmente ciò che si ha nel cuore. Sono ancora, quindi, in viaggio e come ogni viaggio vedo e sperimento cose nuove. Sento che si tratta di una condizione che apre a orizzonti misteriosi, senza dover confliggere necessariamente con altri orizzonti. Inoltre, con gioia noto che avete colto, nonostante siano passati ormai anni, lo spirito profondo di quella che fu una iniziativa che ebbe anche le sue critiche. È vero, in noi vivono un credente e un non credente, in una armonia tra loro difficile, ma che interrogandosi a vicenda e sforzandosi di trovare le risposte pertinenti aumentano la nostra autenticità. Mi pare dunque che sia possibile giungere a quella che si può intendere come una forma di autenticità personale. Su queste cose ci sarebbe molto da discutere. Io però in questo tempo mi sto soprattutto esaminando sul Vangelo e mi incolpo sulle mie non autenticità alla Parola di Dio. Si tratta in ogni caso di un cammino per luoghi impervi e scivolosi, di cui non saremo mai certi dell’esito. Penso si tratti di un continuo svuotamento di sé per fare spazio a Gesù. A quanto ci dicono i grandi autori spirituali di ieri e di oggi, questo svuotamento non è un impoverimento anzi, siamo riconsegnati a noi stessi più autentici di prima. Ma, certamente, oltre ogni tappa raggiunta c’è e ci sarà sempre qualcosa o qualcuno.