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giovedì 27 maggio 2010

Serve più coraggio

Riporto  un articolo dell'amico Vito Schepisi, che condivido completamente.

Cerchiamo d’esser seri, però, se ci riesce. La manovra da 24 miliardi di Euro in due anni contiene cose scontate. I provvedimenti approvati dal CdM, per lo più, erano già sulla bocca di tutti da qualche settimana. Lo erano almeno da quando la speculazione, traendo spunto dalle difficoltà dei conti pubblici della Grecia, ha preso d’assalto l’Euro e le borse dei paesi che adottano la moneta europea.
Gli interventi della Commissione Europea, quali il sostegno alla Grecia con l’erogazione di un prestito che consentisse al paese di Socrate e Platone (come è stato rilevato da Prodi e compagni in occasione del suo ingresso tra i paesi dell’Euro) di onorare gli impegni finanziari in scadenza, e la costituzione di un fondo che servisse a fronteggiare l’urto speculativo degli “squali” dei mercati, si sono mostrati utili, anzi utilissimi, ma non sufficienti.
Gli altri provvedimenti di singoli paesi, come quello solitario della Germania di impedire la trattazione dei titoli allo scoperto, sono risultati inefficaci, se non dannosi. E’ buona, invece, l’idea di un’agenzia di valutazione del debito di matrice europea, fuori dal controllo della speculazione, ma sarebbe inefficace se il debito pubblico in Europa, nella sua globalità, non dovesse scendere. Meglio, infatti, intervenire sulle cause che mitigarne gli effetti.
Ogni Stato europeo, per fronteggiare l’assalto, deve fare la sua parte. E deve farla subito, prima che gli attacchi speculativi, come è successo per la Grecia, uniscano al danno altro danno.
Da questa crisi emergono almeno due segnali di criticità per la moneta unica europea e per riflesso per i mercati finanziari. Una può essere risolta con un coraggioso impegno politico e coi sacrifici dei cittadini, ma l’altra, al momento irrisolvibile, non è meno importante.
E’ evidente che la prima delle criticità, la risolvibile, è quella che mette in discussione il ricorso al debito pubblico per finanziare sia gli investimenti che il sistema sociale degli stati europei. Va bene il debito utilizzato per gli investimenti, quando funge da leva per produrre ricchezza, meno bene, invece, quello contratto per sostenere l’onere dei servizi e della spesa sociale. Sotto la lente d’ingrandimento per il debito pubblico, ora, sono quasi tutti i paesi europei, anche quelli politicamente ed economicamente più solidi. La recessione ha messo a dura prova il sistema finanziario di molti paesi. Molte banche hanno rischiato la chiusura. L’Italia, per fortuna, è rimasta quasi indenne da questo pericolo, ma sul fronte del debito aveva già problemi di suo.
L’altra criticità riviene dal fatto che alla moneta europea manca un riferimento diretto coi mercati mondiali delle materie prime. Per intenderci manca quell’aggancio, come l’ha il dollaro, al mercato internazionale dei rifornimenti primari al sistema produttivo, come il petrolio, ad esempio.
Se l’Euro fluttua la partita è tutta finanziaria. Se la moneta europea perde valore rispetto al dollaro, serviranno più Euro per l’acquisto della materie prime. E qualora, per effetto dei cambi, si creino vantaggi per la collocazione dei prodotti europei sui mercati, succede che i paesi coinvolti adottano misure protezionistiche, come accade spesso negli Usa. In teoria la fluttuazione dell’Euro può essere utilizzata producendo enormi guadagni speculativi, pur mantenendo invariati i flussi di mercato sulle materie prime. Che pacchia, ad esempio, per gli sceicchi, padroni del petrolio, che ricavano dollari che utilizzano sui mercati europei per comprare, a prezzi stracciati, pezzi di territorio e partecipazioni industriali!
Ma torniamo all’Italia ed alla manovra. C’è da rilevare che, rispetto alle dimensioni degli interventi di altri paesi europei, e se rapportato al debito pubblico estremamente elevato, il coraggio italiano si è rivelato abbastanza timido. La manovra risente di un clima politico difficile, ma soprattutto di molta preoccupazione per la coda della crisi recessiva. In una fase di lenta crescita della produzione industriale è, infatti, da evitare che la riduzione della spesa finisca col comprimere la possibilità di dar respiro ai consumi, penalizzando così la stessa ripresa e l’occupazione.
Ciò che manca nel piano del Governo è un taglio più deciso delle spese e soprattutto appare carente lo spessore strutturale delle misure. Se analizziamo la manovra, consistente in tagli, risparmi ed entrate per 12 miliardi ad anno per i prossimi due, e se dall’altra parte, ad esempio, ci si sofferma sul costo per interessi del debito pubblico pari a circa 70 miliardi di Euro ad anno, si capisce che il discorso sul debito pubblico e sui tagli non si chiuderà qui. Se non arriverà la ripresa, e se non aumenteranno le entrate, sarà sempre più difficile contenere la spesa senza adottare ulteriori tagli. Molto difficile!
Vito Schepisi