E' interessante notare come, in una città che si sta trasformando in maniera importante e con la realizzazione dell’Expo avrà certamente ulteriori chances di diventare davvero un centro europeo di primo piano, la caratteristica tutta italiana di governare attraverso tentennamenti, contraddizioni, sparate, incongruenze e ripensamenti si riveli in tutta la sua dimensione nel territorio milanese di Citylife.
Un progetto che, se viene esaminato in tutto il suo complesso, sul piano urbanistico è certamente molto meno complesso di quello di Porta Nuova, articolato questo nelle dimensioni, nelle forme, nei numeri dei progettisti, nell'intreccio stesso della futura mobilità cittadina.
Citylife sembra essere il territorio di una conquista, in una battaglia che sostanzialmente si basa su due punti principali: la densità edilizia e le forme. Su un terreno che passò dal Demanio all'Ente Fiera in tempi lontani, oggi, e direi ormai quotidianamente, la cronaca registra interventi, modifiche ai progetti, suggerimenti e ripensamenti.
Sorge allora spontanea la domanda su chi realmente debba decidere sul destino dell’area di Citylife. L'assurda contestazione che si è montata sui nomi e sui disegni dei progettisti, che dichiara apertamente ignoranza sia culturale sia in tema di architettura, non sembra quasi più essere il tema del contendere ma piuttosto prevale la tragica alternativa, di cui non si ha più in memoria dell'infelice pioniere sostenitore, se Milano debba essere una città che destinata a trasformarsi in maniera certamente sbagliata da «orizzontale» a «verticale», con tutte le conseguenze future.