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martedì 11 novembre 2008

SE QUESTA E' INTEGRAZIONE..


Riporto un articolo de IL GIORNALE e faccio un commento: come mai noi italiani siamo pronti ad autoflagellarci e a tacciarci di razzisti fino al masochismo quando ci sono difficoltà anche solo a trovare gli spazi per una moschea e invece da qualche anno i missionari cattolici, suore, preti e laici vengon uccisi nei paesi di religione islamica senza che nessuno di noi faccia sentire la propria voce?
E ora leggetevi, se volete, l'articolo.
Anche loro, forse soprattutto loro, sono un pezzo di quell’Italia forte e buona che nessuno mai racconta, a meno che sia sfiorata all’improvviso dalla tragedia. Erano in Kenya da 35 anni e curavano i bambini disabili e epilettici nella fraternità di El Wak. Ogni mattina dal 1973, l’anno in cui finiva la guerra nel Vietnam e Novella Calligaris diventava campionessa del mondo di nuoto, regolarmente si alzavano, pregavano, scendevano in ambulatorio e cominciavano a cucire le ferite che, per qualche mistero della fede, lacerano in modo così profondo i piccoli e i deboli della Terra. Nessuno ha mai parlato di loro, nessuno avrebbe mai parlato di loro.
Devo dire la verità: quando è arrivata la notizia del rapimento di suor Maria Teresa e di suor Caterina, detta Rinuccia, anche in redazione l’abbiamo presa un po’ così. Eravamo alla riunione del mattino. Due missionarie rapite? Sì, dovremo occuparcene. E poi: c’è altro? Obama che fa? E Mourinho? Come sono andate le elezioni in Trentino? Due suore nelle mani di un gruppo armato, in fondo, fanno notizia appena un po’. Vuoi mettere con l’ultima dichiarazione di Bossi e di Parisi?
Probabilmente alle suore andrebbe pure bene così. Non conosco le due missionarie, ma so che sono originarie del Piemonte. E ho frequentato missionari a sufficienza, in quella terra di santi ostinati e silenziosi, per sapere che cosa penserebbero, se potessero leggere: «Quanto disturbo abbiamo dato...». Una suora che è stata battezzata Caterina (nome splendido) e si fa chiamare Rinuccia, d’altra parte, non può essere che l’inno alla modestia, il monumento all’umiltà, l’incarnazione del servizio silenzioso. Da 35 anni stava in Kenya e probabilmente, di lei e di suor Maria Teresa, senza il rapimento, non avremmo mai sentito parlare. Ma l’irruzione di quei musulmani armati nell’ambulatorio ci obbliga, invece, a occuparci di loro. E a interrogarci ancora sul massacro dimenticato dei cristiani nel mondo: dall’India alle Filippine, dall’Indonesia all’Irak, dalla Nigeria al Sudan, dall’Algeria alla Cina. In Somalia un’altra missionaria, suor Leonella, è stata uccisa due anni fa. Anche lei si occupava di bambini. Anche lei è rimasta vittima di un’imboscata da parte dei miliziani islamici.
E allora oggi, di fronte a questo nuovo episodio di violenza, non possiamo fare a meno di chiederci se, oltre al giusto tema del dialogo e del rispetto, non sia il caso di mettere sul tavolo con forza il tema della reciprocità. Perché, mentre tutti continuano a darci lezioni, dicendo che dobbiamo favorire in ogni modo l’integrazione degli islamici in Occidente, regalando spazi e magari anche soldi per le moschee, l’integrazione che altrove viene offerta ai cattolici nei Paesi islamici è quella del sangue e del terrore. E sarà davvero duro da accettare il prossimo minareto sotto casa pensando che in molti Paesi musulmani si rischia la vita perfino portando una croce nascosta sotto il vestito. O anche solo cercando di regalare un sorriso ai bambini malati.