sabato 19 luglio 2008

Acqua per Eluana, eutanasia "non in nostro nome"

Dovremmo anche noi portare una bottiglia d’acqua alle porte del Duomo di Milano, come raccomanda Giuliano Ferrara. Se non altro per diluire i litri di alcol che in questi giorni e tv ci hanno fatto ingurgitare. Nello scopo dichiarato di anestetizzarci la coscienza, con una sbronza di cicchetti micidiali. Povera Eluana: cavia ideologica come Welby e Terry Schiavo, usata per gli esperimenti della tribù degli eutanasici. Acqua per ripulire il volto sfigurato di una medicina che non vuol più essere consolazione e cura delle ferite umane. La nuova barbarie, mascherata da pietoso umanitarismo, il diritto alla morte altrui ammantata di dolce compassione, ha qualcosa di diabolico nella sua bestemmia contro la vita. Bioeticisti à la carte, medici agnostici e ciarlatani dell’infomazione offrono consigli e assistenza anti-rimorso al padre di Eluana. Eppure, non esiste alcuna spina da staccare: Eluana è come un neonato incapace di nutrirsi da sé, non un vegetale tenuto in vita da una macchina. Ed ecco svelata la verità: si chiede di porre fine ad un accanimento che non c’è per praticare, invece, l’eutanasia a una ragazza già morta, dicono, 16 anni fa. Bugie in nome della nuova società senza limiti e dei perfetti: oggi tocca a Eluana, domani ai bimbi prematuri, agli handicappati, agli anziani senza futuro. C’è infine un giudice: come per papà Englaro, nessuno può giudicare la sua coscienza. Ma la sentenza no, questa non può sottrarsi al pubblico tribunale. Perché riguarda anche le nostre vite. Abbiamo tutto il diritto di gridare, come davanti a una dichiarazione guerra: «Non in nostro nome». E il dovere di resistere alle Corti di Giustizia quando decidono su vita e morte. Opponiamoci: una bottiglia d’acqua per Eluana e un’altra per spegnere la loro sbronza mortifera.

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