domenica 28 febbraio 2010

"Papà mi portava in bicicletta": una recensione lusinghiera e una sceneggiatura per un corto

Il mio libro "Papà mi portava in bicicletta" sta ottenendo un lusinghiero successo nonostante l'argomento che tratta sia ostico e delicato.
Ho ricevuto una recensione molto lusinghiera  che prelude la presentazione del  libro a diverse associazioni di Forlì e allo stesso tempo, il mio lavoro è servito a fornire lo spunto per la sceneggiatura di un cortometraggio sul morbo di Alzheimer.
Ringrazio Guido Passini per aver saputo cogliere il significato umano del libro ed averlo valorizzato.


Papà mi portava in bicicletta - di Manuela Valletti Ghezzi
Recensione di Guido Passini - Associazione culturale Poliedrica

Più volte ho iniziato le mie riflessioni dicendo che la conoscenza fa crescere l’uomo. La conoscenza attribuita al mondo odierno, a quello che ci circonda ogni giorno con tutte le sensazioni, le emozioni che ne competono. Ho il vizio di cercare e leggere dei libri che riportino spaccati di vita attuali, o comunque molto recenti. Leggo ciò che spesso ha a che fare con un dolore, forse per una certa predisposizione dovuta alla mia patologia, o forse solo perché oggi più che mai credo che temi sociali siano da portare alla luce tentando di invogliare non solo gli addetti, o i diretti interessati a libri che sono in grado di fare crescere l’uomo, crescere dentro. Aprire gli occhi e non nascondersi di fronte ad una malattia, come a una sindrome, come a un disagio. Mi rendo sempre più conto che le persone spesso sono indifferenti davanti a queste quotidianità, a volte sembra quasi ci sia il timore di essere a contatto con una persona “malata” solo per il semplice fatto che non si conosce la “malattia”.
In aiuto a questa situazione d’indifferenza giungono autori come Manuela Valletti Ghezzi, che ha messo a disposizione dei lettori un libro che parla di Alzheimer: Papà mi portava in bicicletta.
Leggere l’amore di una figlia per un padre affetto da questa sindrome, nel modo in cui ho avuto l’occasione di fare con questo libro sono certo abbia arricchito la mia persona. Per indole personale, prima di affrontare la lettura ho voluto approfondire un minimo la tematica Alzheimer. Un processo degenerativo che colpisce le cellule del cervello di cinquecentomila persone in Italia. Una malattia che è stata scoperta nel 1907 e a oggi ancora non si è giunti ancora da una cura definitiva. Cito brevemente un documento presente nel sito Alzheimer Italia che la definisce malattia delle quattro A: amnesia, afasia, agnosia e aprassia che corrispondono rispettivamente a una perdita significativa di memoria, l’incapacità di formulare e comprendere dialoghi orali, l’incapacità di identificare correttamente gli stimoli, riconoscere persone, cose e luoghi, l’incapacità di compiere correttamente alcuni movimenti volontari, per esempio vestirsi.
Mi sono forse dilungato in spiegazioni, ma che ritengo importanti per entrare in sintonia da subito con lo stato d’animo dell’autrice.
“Papà mi portava in bicicletta”  è un libro estrapolato dagli articoli del blog di Manuela, aperto proprio al momento della scoperta di questo “evento” che ha in un qualche modo condizionato questi quattro anni narrati nelle pagine e continui a farlo tuttora nonostante tutto.
La struttura di questo libro ha la forma del diario, e la narrazione è lucida, delicata, sensibile ma soprattutto drasticamente vera. Immagino non sia stato facile per l’autrice riversare tutte le sue sensazioni ma al tempo stesso liberatorio. Un continuo svuotare l’anima e per forza di cose riempirlo nuovamente per poi ripetere il circolo instaurato.
L’impatto del libro è sicuramente positivo ed emotivamente forte, perché l’autrice non si sofferma solo ed esclusivamente sulla malattia, ma anche su altri eventi che hanno stimolato nel bene o nel male questo percorso chiamato vita. Più volte gli occhi si sono riempiti di lacrime leggendo queste pagine, commosso a tal punto da trovarmi alla fine affezionato al protagonista del libro. Mi rendo conto di questa mia stranezza, ma siamo di fronte ad un uomo che di certo ha lottato nella sua vita, un uomo che ha visto i lager nazisti, un uomo che ha visto crescere la sua famiglia nel migliore dei modi, un uomo che ha sempre cercato di mantenere una dignità di sé al massimo livello, senza mai lamentarsi, nonostante le piaghe da decubito, nonostante i dolori, nonostante il vedersi ogni giorno “in calo”.
La presenza di un uomo del genere nell’ambito familiare ha uno sviluppo importante, soprattutto per quel che riguarda il raffrontarsi con la vita, il volerla afferrare e il cercare continuamente la lucidità per essere uomo. Uomo ammirevole.
L’autrice essendone la figlia, non poteva mancare dal riuscire a rappresentare questo nei suoi scritti. L’amore per il padre, il rispetto è in ogni riga, in ogni capitolo, anche dove apparentemente non si parli di lui.
Mi colpisce molto la caparbietà di Manuela nel non nascondere nulla al lettore, né i riscontri sul padre, né le visioni politiche, non poteva quindi trasparire la forza di volontà che lo avvolge.
Un libro che può rappresentare un aiuto per ognuno di noi, ma soprattutto chi è a contatto con questa malattia, perché dalle esperienze altrui possiamo solo imparare. Non vorrei dilungarmi troppo in questa recensione a “Papà mi portava in bicicletta” perché andrei a svelare seguiti ed eventi che meritano di essere letti pagina per pagina, con una mano sul cuore, pensando: io nelle sue condizioni cosa avrei fatto?
Domanda che non troverà risposta, proprio come nemmeno io ho trovato.
Un papà che si perdeva nel tempo, dice l’autrice, mi permetto di aggiungere che il tempo, è uno spazio indefinito, e mai come ora è Ferdinando a scandirlo.
Motivo in più per l’acquisto di questo libro che aiuta IL CICLAMINO, un’associazione no profit, che si adopera per recuperare personale idoneo per l’assistenza ai soggetti deboli parzialmente o del tutto non autosufficienti. L’Associazione IL CICLAMINO è stata costituita in memoria di Ferdinando Valletti  e opera in Milano e provincia.
E’ bello vedere come quello che apparentemente sembra essere un semplice libro, si trasforma inesorabilmente in un grande dono. Questo l’augurio che mi sento di fare a Manuela: che per ogni emozione che questo libro ha saputo dare e saprà dare, corrisponda a una speranza in più, reale, per chi vive questo “tempo”.


©Guido Passini – 28/02/2010

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