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domenica 25 gennaio 2009

Perdona i tuoi nemici, ma non dimenticare mai i loro nomi.- John Fitzgerald Kennedy

In relazione alla GIORNATA DELLA MEMORIA e alle innumerevoli vittime dei lager nazisti penso a mio padre che, deportato per 15 mesi a Mauthausen-Gusen a causa del tradimento di alcuni "compagni" dell'Alfa Romeo che lui conosceva benissimo e tornato in cattive condizioni di salute dal lager, ha avuto la forza interiore e il coraggio di perdonare i suoi aguzzini.
Non ho mai sentito dalla sua bocca parole di odio verso chi gli aveva procurato tanto dolore fisico e psichico, certo non ha mai dimenticato, come potrebbe averlo fatto? Ciò che gli è accaduto ha segnato la sua vita e probabilmente ne ha condizionato il corso. Credo che abbia deciso di donare il suo perdono per non accrescere il dolore che aveva dentro, per buttarsi tutto alle spalle e continuare la sua vita e credo anche che non sia stato facile.
Solo una persona eccezionale riesce a perdonare chi in fondo non gli ha mai fatto sapere di essersi pentito di quello che aveva fatto; una popolo intero si è poi vergognato dell'accaduto e con loro si è vergognata una umanità silente, ma a Ferdinando Valletti deportato I57633, mio padre, "le scuse" dei tedeschi sono arrivate negli ultimi anni della sua vita sottoforma di risarcimento per il lavoro forzato.
Anche per questo mio padre era un grand'uomo.

domenica 28 dicembre 2008

Il mio presepe preferito è stato creato in un Lager

L'ho scoperto solo da poco tempo, a Milano pochi ne conoscono l'esistenza e la dislocazione, sono andata a vederlo nella Basilica di S. Ambrogio e vi dico che tra i molti bellissimi Presepi che in questi giorni celebrano la venuta di Gesù, preferisco questo perchè è un esempio meraviglioso di fede e di speranza, la speranza che vince qualsiasi difficoltà.

NEL CAMPO DI WETZENDORF


«Natale 1944: secondo desolato inverno di prigionia nello squallido lager tedesco di Wietzendorf, dove è quasi sempre inverno. Moltitudine di uomini, vecchi e giovani, ormai addossati, quasi ininterrottamente giorno e notte, in baracche sporche, fredde, buie, fumose, umidissime; inermi di fronte alla crudeltà inutile ma sadicamente quotidiana dei nazisti. Umiliati, minacciati dalla morte, all’oscuro degli avvenimenti. Malattie, mucchi di stracci umidi e freddi, fango dappertutto dentro e fuori le baracche, fame, inedia». Così testimoniava a 84 anni l’ex sottotenente Tullio Battaglia, autore del presepe che nel 1944 illuminò la notte di Natale di un campo di concentramento dove il respiro quotidiano ha il sapore della morte e della tortura. Battaglia sorrideva, nella sua poltrona a cui gli anni e i malanni l’avevano costretto, quando ricordava l’ordine del colonnello Pietro Testa: «Un presepe in ogni stube». Gli altri sfruttano la creta, il sottotenente Tullio, per la sua grande baracca, pensa a qualcosa di originale, che coinvolga tutti con un piccolo dono. Ogni ufficiale aveva, nella sua cassetta di ordinanza, qualche ricordo della famiglia, dell’amata. Gesù è vestito con un fazzoletto di seta del tenente Bianchi, i pantaloni di un magio sono la calza della Befana che i figli avevano inviato al capitano Gamberini, il pizzo del manto della Madonna ornava il fazzoletto del tenente Zimaglia, il rosario di san Francesco è di Tullio, il manto rosso di un magio è il pezzo di una bandiera italiana, tagliata dai prigionieri per sottrarla alle perquisizioni dei nazisti. Tutto viene offerto per rendere preziosa un’opera che va dal 3 novembre al 24 dicembre 1944. Per realizzarla un coltellino scout, un paio di forbici, alcuni aghi, il cardine di una porta trasformato in martello. Le assicelle dei letti a castello diventano le "anime" dei personaggi. Tullio può lavorare solo di sera, ma alle 15.30 è già buio e allora ecco il miracolo. Ciascuno rinuncia a un po’ della minuscola razione quotidiana di 15 grammi di margarina per realizzare candele che illumineranno il lavoro di Tullio. «Per ore e ore, chiusi nel buio, la baracca è stata raccolta in contemplazione della nascita del presepio: assorte figure scarne, pallide, raggomitolate, silenziose. Alla Vigilia era finito, vivo, splendente di biancore nel nerume tutto intorno. Simbolo potente di fede indistruttibile, di speranza, ha portato in mezzo a quella moltitudine un’ondata vivificatrice di gioia. Nessuno può dimenticare la messa della notte di Natale, celebrata ai piedi del presepe. Una grande bandiera tricolore, gelosamente custodita da un eroico cappellano, don Costa, faceva da tovaglia all’altare». Oggi quel presepe è custodito nel tesoro della Basilica di Sant’Ambrogio a Milano, forse il bene più prezioso, plasmato non con l’oro ma con la vita e la speranza.



Nota: La foto d'insieme del Presepe è di Mario Ghezzi, i particolari della Vergine col Bambino, dei Re Magi, di un Militare e della struttura delle statue realizzata con legno scolpito e filo di ferro sono tratte da Luoghi dell'Infinito, il mensile di Avvenire.