“Ho conosciuto personalmente numerosi preti internati nelle prigioni e nei gulag staliniani. Sacerdoti che sono tuttavia rimasti fedeli alla Chiesa… conducendo una vita degna alla sequela di Cristo, loro divino Maestro”.
Si presenta così l’arcivescovo cattolico Jan Pawel Lenga, vescovo emerito di Karaganda (Kazakhistan) in una lettera accorata che in queste ore rimbalza su vari siti cattolici dall’America all’Italia. IL TESTIMONE “Io stesso” prosegue “ho compiuto gli studi in un seminario clandestino nell’Unione Sovietica, lavorando con le mie mani per guadagnarmi il pane quotidiano. Sono stato ordinato prete in segreto, di notte, da un Vescovo che aveva a sua volta sofferto a causa della sua fede. Dopo il mio primo anno di sacerdozio sono stato espulso dal Tagikistan ad opera del Kgb”. Monsignor Lenga, che ha partecipato a due Sinodi con Giovanni Paolo II, sente il dovere di esprimersi “circa la crisi attuale della Chiesa Cattolica”. E ha scelto “la forma della lettera aperta, dato che qualsiasi altro metodo di comunicazione si scontrerebbe con un muro di silenzio totale e con la volontà di ignorare”. Il vescovo precisa: “Sono del tutto cosciente delle possibili reazioni alla mia lettera aperta. Ma la voce della mia coscienza non mi permette di tacere, mentre l’opera di Dio viene oltraggiata”. Egli ricorda infatti la lezione degli apostoli martiri, per cui bisogna “obbedire a Dio piuttosto che agli uomini”. Spiega che “oggi diventa sempre più evidente come in Vaticano attraverso la Segreteria di Stato si è intrapresa la via del politicamente corretto”. E che si propaga il “modernismo” cosicché gli stessi vescovi non hanno più voce “per difendere la fede e la morale”. E aggiunge: “In tutti i settori della Chiesa si nota una significativa riduzione del ‘sacrum’. È lo ‘spirito del mondo’ che conduce i pastori”. Eppure “i pastori sono tenuti – che piaccia loro o no – ad insegnare tutta la verità su Dio e sull’uomo”. Ma – si chiede – dove sono oggi quelli “che annunciano alle genti chiaramente ed in modo comprensibile i pericoli, minacciosi, che scaturiscono dalla perdita della fede e da quella della salvezza?” Sono rari perché, secondo questo pastore, la scelta “di nuovi vescovi e persino di cardinali, a volte rispecchia più i criteri di una certa ideologia o anche gli imperativi di gruppi molto distanti dalla Chiesa. Allo stesso modo la benevolenza dei mass media sembra essere un criterio importante”. Bisogna essere da loro ritenuti “aperti e moderni” e non “troppo santi”. Purtroppo neanche Benedetto XVI, in cui il vescovo Lenga sperava, è riuscito a invertire questa rotta disastrosa. Egli aggiunge queste parole: “È difficile credere che Papa Benedetto XVI abbia rinunciato in piena libertà al suo compito di successore di Pietro. Questo papa è stato il capo della Chiesa, ma i suoi collaboratori praticamente non hanno applicato il suo insegnamento, anzi sono state passate sotto silenzio o bloccate le sue iniziative”. Così oggi, conclude l’eroico vescovo, la Chiesa si trova in una situazione drammatica. Non è un caso che sia un uomo che ha vissuto le persecuzioni comuniste ad avere il coraggio di esprimere pubblicamente dubbi sulla piena libertà della “rinuncia” di Benedetto XVI. Parole dirompenti che mettono inevitabilmente in discussione la validità della stessa rinuncia (che ha proprio la libertà come requisito essenziale). Questi dubbi circolano sempre di più in tutte le curie e a volte emergono a sorpresa. Come il 7 gennaio scorso quando il quotidiano dei vescovi, “Avvenire”, sempre sorvegliatissimo, a pagina 2 pubblicò una stupefacente lettera dove si puntava il dito contro quegli “ambienti che, per i soliti motivi di potere e sopraffazione, hanno tradito e congiurato per eliminare papa Ratzinger, pur riconosciuto ‘fine teologo’, e l’hanno spinto alla rinuncia”. AL CONCISTORO Il mistero di quella rinuncia e della decisione di Ratzinger di restare tuttavia “papa emerito” – cosa mai accaduta in duemila anni e cosa mai spiegata sotto il profilo teologico e canonistico – si è riproposto visivamente anche ieri, al Concistoro in San Pietro (guarda caso papa Benedetto viene chiamato a presenziare ad ogni atto che implica la giurisdizione pontificia…). Pur in là con gli anni il papa emerito è apparso in forma. Le sue buone condizioni del resto erano già state illustrate giovedì scorso, con un’intervista al Corriere della sera, dal suo segretario, monsignor Georg Gaenswein che è anche Prefetto della Casa pontificia di Francesco. Gaenswein, per far apparire “normale” una situazione che invece è totalmente anomala, ha ribadito (o ha dovuto ribadire) di nuovo una sorta di “excusatio non petita”, cioè che il papa “ha preso la sua decisione in modo libero, senza alcuna pressione”. E poi ha ripetuto che si è dimesso perché “le forze del corpo e dell’animo venivano meno”. Non è per nulla credibile che (a meno di fortissime pressioni) vengano meno le forze dell’animo in un uomo di Dio come Benedetto il quale fin dall’inizio ha confessato pubblicamente la sua certezza nell’aiuto di Dio (“non sono solo, chi crede non è mai solo…Dio mi sostiene e mi porta”). Il Vicario di Cristo poi gode di un’assistenza straordinaria del Cielo. Ma è anche assurdo dire che si sia dimesso per la banale diminuzione delle forze fisiche. Anzitutto perché lo stesso Gaenswein si contraddice in quella medesima intervista dove spiega che il papa emerito, a due anni dalla rinuncia, sta sempre bene in salute (salvo “qualche fastidio alle gambe, ogni tanto”) e “la sua mente è formidabile”: legge, scrive, studia, prega, sbriga la corrispondenza, riceve persone, fa ogni giorno la sua passeggiata e suona il pianoforte. Cosicché non si vede come possa essersi dimesso per ragioni fisiche. Peraltro invecchiare è normale per ogni papa e il Dio dei cristiani – ci ha insegnato Ratzinger – si compiace di vincere la forza del mondo con l’apparente debolezza dei suoi apostoli. Del resto è naturale attendersi da un papa che lasci a Dio la scelta di quando chiamarlo a sé, come ha testimoniato Giovanni Paolo II. DUBBI Infine Ratzinger sa benissimo che nella tradizione della Chiesa la rinuncia per invecchiamento non si è mai verificata ed è anche gravata da un giudizio morale molto negativo. Il cardinal Fagiolo, canonista di fiducia di Giovanni Paolo II, sentenziò: “Di certo in maniera tassativa e assoluta il Papa non potrà mai dimettersi a motivo della sola età”. Tutti ribadiscono che occorre un motivo gravissimo per la rinuncia altrimenti l’atto, pur valido, è moralmente colpevole. Secondo il canonista Carlo Fantappiè la rinuncia al Papato può avvenire solo “in casi davvero eccezionali e per il bene superiore della chiesa”. Questa è “la condizione per rinunciare all’ufficio senza cadere in colpa grave davanti a Dio”. Dunque per buon senso e per rispetto verso Benedetto XVI non si può ridurre la ragione della sua rinuncia all’invecchiamento. Proprio il fatto che sia stato lui stesso a dare questa (debole) motivazione ufficiale dovrebbe indurre a porsi delle domande, visto che egli non ignora di certo il diritto canonico. Del resto se aveva subito pressioni non poteva certo dirlo in maniera esplicita visto che così avrebbe invalidato l’atto a cui era costretto. E poi egli ha anche dichiarato che era “ben consapevole della gravità di questo atto” e non poteva certo definirlo “grave” se fosse stato un normale pensionamento. Si ricordi che fin dal suo insediamento Benedetto aveva affermato: “Pregate per me perché io non fugga per paura davanti ai lupi”. E’ lecito chiederci chi fossero i “lupi” e cosa volessero. Però sarebbe un grossolano errore pensare che il papa sia fuggito: egli ha scelto di autorecludersi in Vaticano, dichiarando che “la mia decisione di rinunciare all’esercizio attivo del ministero, non revoca questo”. Infatti è rimasto “papa emerito” perché – ebbe a dire in un’altra intervista Gaenswein – “ritiene che questo titolo corrisponda alla realtà”. Antonio Socci |
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lunedì 16 febbraio 2015
BENEDETTO XIII ha rinunciato volontariamente ? I dubbi di A. Socci
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domenica 9 febbraio 2014
CHI HA SPINTO PAPA BENEDETTO A MOLLARE (E PERCHE’)
CHI HA SPINTO PAPA BENEDETTO A MOLLARE (E PERCHE’)
Chi, come e perché ha determinato quel “ritiro” di Benedetto XVI – esattamente un anno fa – che rappresenta un evento unico nella storia della Chiesa, traumatico e tuttora non chiaro nelle sue implicazioni e nelle sue conseguenze?
Spesso si è buttata la croce addosso al povero Paolo Gabriele, il cameriere di Vatileaks, ma è vero l’esatto contrario: se c’era una persona che avrebbe voluto che papa Benedetto potesse esercitare pienamente il suo mandato era proprio lui.
Del resto il mio scoop, uscito su queste colonne il 25 settembre 2011, dimostra che Ratzinger aveva già deciso quel “ritiro” ben prima dell’inizio di Vatileaks e l’aveva previsto – come scrissi – allo scoccare degli 85 anni. Esattamente quello che poi è avvenuto.
Ma allora chi, come e perché – prima di Vatileaks - ha creato una situazione che ha indotto il papa a valutare di non poter più sostenere la lotta?
UN GIGANTE
Ratzinger è uno dei giganti della Chiesa del Novecento ed è molto vasta la mappa di coloro che, nel corso dei decenni, anche su fronti contrapposti, hanno individuato il loro Nemico in quest’uomo mite e sapiente.
Anzitutto egli entra in scena come uomo del Concilio: è colui che, scrivendo il discorso del cardinale Frings, abbatterà il vecchio S. Uffizio di Ottaviani, l’inquisizione.
Nel postconcilio diventerà il nemico di tutti coloro che pretendevano di usare il Vaticano II per spazzar via la Chiesa di sempre e costruirne una prona al mondo e alle ideologie: da Rahner ad Hans Kung, fino a Martini che – come cardinale – si è opposto frontalmente a Ratzinger e a papa Wojtyla.
Non erano destinati a procurargli amici, poi, i suoi due primi interventi, quando fu chiamato da Giovanni Paolo II alla guida della retta dottrina: quello in cui ribadì la condanna cattolica della massoneria e i testi che confutarono e condannarono la Teologia della liberazione.
Infine sarà sempre Ratzinger a denunciare in mondovisione, durante l’ultima solenne via crucis di Giovanni Paolo II, “la sporcizia nella Chiesa”, con parole durissime e drammatiche.
Sarà lui che realizzerà una purificazione radicale della Chiesa dalla piaga dei preti pedofili, con provvedimenti drastici e un ribaltamento totale di certa mentalità clericale.
Ancora lui infine scandalizzerà gli ecclesiastici progressisti (tanto da suscitare la ribellione aperta di diversi vescovi) quando – in linea vera con il Concilio – cercherà di riportare all’unità la Fraternità S. Pio X e restituirà libertà alla liturgia tradizionale della Chiesa.
Era stato lui con Giovanni Paolo II che aveva valorizzato i tanti nuovi movimenti fioriti nella Chiesa, specie fra i giovani, e che ha colto e denunciato la “questione antropologica” che oggi nel mondo sta bombardando i valori della vita, della famiglia e della dignità umana.
Ha fondato il dialogo della Chiesa con la modernità e la vera laicità, così da affascinare intellettuali come Habermas, Tronti, Ferrara e Barcellona.
Eppure fin dall’inizio, dalla sua elezione, c’è stata l’occulta e pesante opposizione di un establishment cardinalizio oscuro e pronto – per delegittimarlo – perfino allo spergiuro.
L’ATTACCO OCCULTO
Lo dimostra un fatto dimenticato che segnò l’inizio della guerra interna contro papa Ratzinger. Benedetto XVI era appena stato eletto, nel 2005, e dall’anonimo mondo cardinalizio (più o meno di Curia), attraverso il vaticanista Lucio Brunelli, fu fatto pubblicare un presunto diario delle votazioni del Conclave da cui emergevano dettagli delegittimanti del nuovo pontificato.
Un vaticanista autorevole come Sandro Magister scrisse: la lettura di quel testo “suggerisce che l’‘intenzione’ di pubblicarlo sia stata molto più militante” che storico-giornalistica. E lo si sia fatto “per mostrare che la vittoria di Ratzinger non è stata per niente ‘plebiscitaria’, che è stata in forse fino all’ultimo, che è stata indebitamente favorita dal suo essere decano dei cardinali, che i tempi sono maturi per un papa ‘nuovo’, magari latinoamericano e che a questi suoi limiti Benedetto XVI dovrebbe rassegnarsi”.
Così scriveva Magister il 7 ottobre 2005. Forse si sottovalutò la gravità di quel segnale anonimo, basato peraltro su dati delle votazioni che non risultano ad altri.
Ripensandoci oggi fa impressione che per un tale gesto pubblico di sfida, una fazione di cardinali sia stata pronta a sfidare pure Dio con un pubblico spergiuro (perché ogni cardinale aveva giurato solennemente sul Vangelo di mantenere il segreto su Conclave e votazioni).
Negli anni successivi il tema della spaccatura e il fantasma dello scisma più volte è stato ventilato oscuramente e certo Ratzinger ha sempre voluto evitarlo in ogni modo (anche a costo di dimettersi).
ODIO CONTRO IL PAPA
Benedetto ha avuto poi altri nemici interni, nella Curia e nell’establishment ecclesiastico, che hanno contestato o boicottato o rifiutato il suo magistero, quello tradizionale della Chiesa, avendo i media dalla loro.
Poi Ratzinger ha avuto molti nemici esterni ed è stato sottoposto a un bombardamento mediatico senza fine culminato con il cosiddetto “scandalo pedofilia” con cui si è preteso di trasformare la Chiesa in “imputato globale” (la Chiesa che è perseguitata in mezzo mondo nell’indifferenza generale).
Ma paradossalmente i maggiori danni per il pontificato di Benedetto sono forse arrivati dalla Curia e dai più stretti collaboratori.
L’ERRORE
Bisogna riconoscere l’errore, forse il maggiore di Benedetto XVI, che – per evitare certe potenti realtà curiali (ad esempio facenti capo al cardinal Sodano) – chiamò nel ruolo strategico di Segretario di Stato un ecclesiastico che conosceva da anni e che credeva potesse essergli di aiuto: il cardinale Bertone.
La plateale inadeguatezza dell’uomo per quel ruolo delicato e decisivo – a parere dei più, anche dei ratzingeriani più convinti – è ciò che ha fatto precipitare la situazione. Che a un certo punto si è fatta drammatica.
Il “cameriere del Papa”, pur sbagliando gravemente nel metodo, ha fatto emergere una realtà inaudita dove il Pontefice sembrava pressoché esautorato. Lo ha dichiarato di recente il cardinale Maradiaga: dalla vicenda Vatileaks “pareva che alcuni documenti non arrivassero nelle mani del Papa”.
Addirittura monsignor Georg Gaenswein, segretario di Benedetto XVI, in una intervista al “Messaggero” del 22 ottobre, una settimana dopo le dimissioni di Bertone, ha candidamente riferito che “Benedetto XVI aveva chiamato Gotti Tedeschi allo Ior per portare avanti la politica della trasparenza”, ma nonostante fosse stato lui stesso a volerlo lì, quando costui fu defenestrato, il Papa non ne sapeva niente e “restò sorpreso, molto sorpreso per l’atto di sfiducia al professore. Il Papa lo stimava e gli voleva bene”.
Un fatto emblematico della situazione oltretevere, anche se ci sarebbe da chiedersi cosa faceva, nel frattempo, don Georg vedendo questa realtà….
IL MISTERO DI OGGI
Col più grande gesto di umiltà Benedetto, alla fine, ha ritenuto di aiutare la Chiesa azzerando tutto, a cominciare da se stesso. E si concepisce ora nel ruolo di Mosè che prega sulla montagna mentre Giosuè combatte.
Tuttavia anche per Giosuè-Francesco sono cominciati in questi giorni gli attacchi e le prove più dure: da quelli esterni (vedi l’incredibile denuncia dell’Onu) a quelli interni che puntano a usare il prossimo Sinodo per ribaltare la Chiesa.
Se, per la prima volta nella storia, oggi la Chiesa si trova con due papi è davvero il segno che è un tempo di prova senza eguali.
Un dettaglio. Ratzinger non solo ha voluto restare “nel recinto di Pietro”, ha voluto conservare il titolo di “papa emerito” e l’abito bianco, ma – si è saputo di recente – ha gentilmente declinato la proposta dell’arcivescovo Montezemolo di cambiare il suo stemma araldico.
Il Vaticano ha così fatto sapere che Benedetto “preferisce non adottare un emblema araldico espressivo della nuova situazione creatasi con la sua rinuncia al Ministero Petrino”. Se è un segnale significa che papa Benedetto c’è. Che il Cielo protegga la sua vita.
Antonio Socci
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mercoledì 11 aprile 2012
Bossi: forse sapeva.. forse no
Ho assistito ieri sera alla seratona leghista a Bergamo e dopo un primo momento di fastidio per i toni trionfalistici di Maroni ("Lega Nord la potentissima... e amenità di questo tipo) mi sono concentrata sulla platea di militanti, sui loro cori e sulle loro proteste. Direi un pari merito tra Bossi e Maroni circa i consensi, ma anche tante frasi disincantate ("sono tutte balle" ) quando il grande capo tentava di scusarsi per gli errori dei figli.
E' molto difficile che Bossi non sapesse.... ma voglio credergli e lo faccio perchè è un uomo malato al quale, magari, tante cose sono state nascoste per non addolorarlo, naturalmente poi le responsabilità sono comunque le sue e infatti se le è prese tutte.
Da quello che ho visto, la Lega c'è e nonostante " il malloppo " che sembra condividere con tutti gli altri partiti, dimostra una diversità di comportamenti. La parola "dimissioni" per la Lega non è una brutta parola, ma è l'inizio di una pulizia che è dovuta a chi ha comunque riposto il lei tante speranze di cambiamento.
Non so come andrà a finire, lo vedremo nelle prossime amministrative, penso che non cambierà molto rispetto al passato, la Lega avrà tutti i suoi consensi al nord, se non altro per mancanza di concorrenza. Basta salire su un autobus per sentire: "Nonostante tutto meglio la Lega, almeno salverà il nord" ...., staremo a vedere.
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