Riporto una bellissima riflessione di Jung sulla morte citando le sue parole.
Il pensiero della morte credo costituisca la più grande preoccupazione di moltissime persone specialmente quando sono avanti con l'età e comprometta molti momenti belli dell'esistenza proprio nel timore di non poter prevedere l'imprevedibile. E' proprio la consapevolezza di non poter conoscere quando si fermerà il nostro orologio biologico che dovrebbe spingerci ad apprezzare e a godere di ogni singolo attimo che la vita ci offre. La frase di Jung "la morte come un fine e non come una fine" sta a significare che la morte non è la fine di tutto ma soltanto il traguardo ineludibile dell'esistenza fisica e dovrebbe essere vissuto senza alcun timore proprio per poter vivere pienamente il tempo concessoci.
"Più di una volta mi è stato chiesto che cosa io pensi della morte, di questa non dubbia fine della singola esistenza umana. (...)
Rispetto alla morte la vita ci appare come un fluire, come il cammino di un orologio caricato, il cui arresto finale è evidente. Non siamo mai tanto convinti del "fluire" della vita come quando una vita umana giunge al suo termine dinanzi ai nostri occhi; e mai si impone in modo più stringente e penoso il problema del significato e del valore della vita come quando assistiamo all'ultimo respiro che abbandona un corpo vivo sino a un attimo prima. (...)
Siamo invece a tal punto convinti che la morte sia soltanto la fine di un fluire, che di solito non ci accade di concepire la morte come uno scopo o un compimento, come si fa per le mete e i progetti di una vita giovanile, in fase ascendente.
La vita è un fluire di energia. Ma ogni processo energetico è irreversibile per principio e quindi diretto in modo univoco verso una meta: e tale meta è uno stato di riposo. (...)
Anzi la vita è quanto vi è di più teleologico; ESSA È DI PER SÈ TENDENZA A UN FINE; e il corpo vivente è un sistema di finalismi che tendono alla propria realizzazione.
La fine di ogni fluire è una meta. (...)
Ardore giovanile rivolto al mondo e alla vita e al compimento di tese speranze e di mete lontane, questo è l'esplicito finalismo della vita, che si tramuta in angoscia, in resistenze nevrotiche, in depressioni e fobie ogniqualvolta essa rimanga in qualche modo fissata al passato o indietreggi di fronte a quei rischi senza i quali le mete prefissate non possono essere raggiunte.
Pervenuto alla maturità e al vertice della vita biologica, che coincide all'incirca con la metá della sua durata, il finalismo della vita non viene meno per questo.
Con la stessa intensità e irresistibilitá con cui esso tirava in salita nella prima metà , ORA ESSO TRASCINA IN DISCESA, chè il traguardo non sta nel vertice, ma nella valle dove era iniziata l'ascesa.
La curva della vita psicologica non vuole tuttavia adattarsi a questa legge naturale.
Le discordanze possono cominciare ben presto, anche durante l'ascesa.
Uno rimane indietro rispetto ai propri anni, conserva la propria infanzia, come se non potesse staccarsi dal suolo; trattiene la lancetta e immagina che con ciò il tempo si arresti. E se alla fine è giunto con qualche ritardo alla cima, torna a fermarsi anche lì, psicologicamente; e quantunque sia evidente che sta giá scivolando dall'altra parte , si aggrappa - non fosse altro con lo sguardo che persiste a volgersi indietro- all'altezza giá raggiunta. COME LA PAURA LO TRATTENEVA PRIMA DI FRONTE ALLA VITA, COSÌ ESSA LO TRATTIENE ORA DI FRONTE ALLA MORTE.
Inoltre, essendosi attardato in salita per paura della vita, pretenderebbe ora di trattenersi sulla cima raggiunta per indennizzarsi del ritardo. Si è reso conto che la vita, nonostante tutte le resistenze l'ha spuntata su di lui, ma ciò nonostante tenta ancora di fermarla. Con ciò la psicologia di quest'uomo perde il suo terreno naturale: la sua coscienza rimane sospesa nell'aria, mentre sotto di lui la parabola scende con moto accelerato. IL TERRENO DA CUI TRAE NUTRIMENTO L'ANIMA È LA VITA NATURALE.
Chi non la segue rimane disseccato e campato in aria. Perciò molti uomini si inaridiscono con l'etá: si volgono indietro con una segreta paura della morte nel cuore. Si sottraggono, almeno psicologicamente, al processo vitale; (...).
Nella seconda metá dell'esistenza rimane vivo soltanto chi, CON LA VITA, VUOLE MORIRE.
Perchè ciò che accade nell'ora segreta del mezzogiorno della vita è l'inversione della parabola, è la NASCITA DELLA MORTE.
La vita dopo quell'ora non significa più ascesa, sviluppo, aumento, esaltazione vitale, ma morte, dato che il suo scopo è la fine. "DISCONOSCERE LA PROPRIA ETÀ" significa "RIBELLARSI ALLA PROPRIA FINE".
Entrambi sono un "NON VOLER VIVERE" ; giacchè "NON VOLER VIVERE" e "NON VOLER MORIRE"sono la stessa cosa.
DIVENIRE E PASSARE APPARTENGONO ALLA MEDESIMA CURVA.
La coscienza fa quel può per non accogliere questa verità pur incontestabile. In genere si resta attaccati al proprio passato, fermi nell'illusione di restare giovani. Essere vecchi è estremamente impopolare.
Non ci si rende conto che il " non poter invecchiare" è cosa da deficienti, come lo è il non poter uscire dall'infanzia . (...)
L'attuale durata media della vita relativamente più lunga di prima, come è stato provato statisticamente, è un prodotto della civitá. I primitivi raggiungono un'età avanzata solo eccezionalmente. (...)
È come se la nostra coscienza si fosse un poco spostata , sdrucciolando dalla propria base, e non riuscisse più a ritrovarsi completamente col tempo naturale. E pare quasi che la coscienza, per una sua alienazione, ci tragga in inganno, facendoci apparire i tempo della vita come pura illusione che può essere mutata a volontá. ( Rimane da chiedersi donde tragga la coscienza propriamente la sua capacità di essere contro natura, e che cosa significhi quel suo arbitrio.)
Così come la traiettoria di un proiettile termina al bersaglio, la vita termina nella morte, che è quindi il bersaglio, LO SCOPO DI TUTTA LA VITA. (...)
La nascita dell'uomo è densa di significato, e perchè non dovrebbe esserlo la morte? L'uomo giovane viene preparato per vent'anni e più al pieno sviluppo della sua esistenza individuale; e perché non dovrebbe per vent'anni e più preparare la sua fine? (...)
Ma che cosa si ottiene con la morte? (...)
Pare dunque che risponda meglio all'anima collettiva dell'umanità considerare la morte come un compimento del significato della vita e come scopo specifico di essa, che non come una mera cessazione priva di significato. Chi dunque si associa all'opinione illuministica rimane psicologicamente isolato e in contrasto con quella realtà umana universale a cui appartiene egli stesso. (...)
Giacchè - illuminismo o no, coscienza o no - la natura si prepara alla morte. (...)
Col passare degli anni, i pensieri della morte si fanno straordinariamente più frequenti. Lo voglio o no, l'uomo che invecchia si prepara alla morte.
Penso proprio che la natura stessa provveda a una preparazione in vista della fine.
Di fronte a ciò è indifferente, da un punto di vista obbiettivo, quel che pensi sull'argomento la coscienza individuale; ma soggettivamente fa una gran differenza se la coscienza vada di pari passo con l'anima oppure si abbarbichi a pensieri che il cuore ignora. Giacchè il non prendere posizione di fronte alla morte come scopo è nevrotico quanto il reprimere durante la giovinezza le fantasie rivolte all'avvenire.
Nella mia non breve esperienza psicologica io ho fatto una lunga serie di osservazioni su persone di cui ho potuto seguire l'attività psichica inconscia fino all'immediata prossimità della morte. In genere la fine vicina veniva indicata con i simboli con cui anche nella vita normale si allude a mutamenti di stato psicologico: SIMBOLI DI RINASCITA, MUTAMENTI DI LUOGO, VIAGGI e simili. Parecchie volte ho potuto seguire, in lunghe serie di sogni, per più di un anno, gli accenni alla morte prossima: e ciò anche quando la situazione esteriore non giustificava pensieri di tal genere. IL MORIRE COMINCIAVA DUNQUE ASSAI PRIMA DELLA MORTE EFFETTIVA.
Ciò si rivela del resto, anche più sovente, con un tipico mutamento di carattere, che può precedere di molto la morte. La morte dovrebbe quindi essere un qualche cosa di relativamente inessenziale, oppure la nostra anima non si cura affatto di quel che accade all'individuo. Pare invece che l'inconscio si preoccupi assai più del MODO come si muore: E CIOÈ SE L'ATTEGGIAMENTO DELLA COSCIENZA CORRISPONDA O NO AL MORIRE."
Jung, Anima e morte
tratto dal gruppo Carl Gustav Jung - Italia