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martedì 9 settembre 2008

L’iniezione «miracolosa» che cura l’Alzheimer

Una clinica privata di Los Angeles propone una terapia con un farmaco per l’artrite

Edward Tobinick, il medico californiano che sta sperimentando la nuova terapia «miracolosa» per l'Alzheimer
Un visionario, un affarista o uno che ha intuito qualcosa di fondamentale sull’Alzheimer? Il mondo scientifico è perplesso, ma — inutile negarlo — affascinato dal lavoro di Edward Tobinick, signor nessuno fino ad ieri, oggi al centro dell’attenzione per i risultati, sensazionali e rapidissimi, che sta ottenendo con un farmaco dalle proprietà antinfiammatorie destinato alla cura dell’artrite reumatoide e della psoriasi, l’etanercept.

IL SOLITO «MIRACOLO»? - La solita storia miracolistica, fra le tante degli ultimi vent’anni? Forse sì a giudicare dal business (la terapia, settimanale, viene offerta dall’istituto californiano diretto da Tobinick ad un prezzo che oscilla fra i 10.000 e i 40.000 dollari all’anno), ma con qualche variante sul copione. Significativa. Il dottor Tobinick, a differenza di altri «rivoluzionari» della medicina, ha scrupolosamente pubblicato i suoi risultati. Dal caso, uscito su Journal of neuroinflammation in gennaio, di un signore inglese di ottant’anni con gravi problemi di memoria che due ore dopo l’iniezione del farmaco ricordava improvvisamente tutto come un tempo (riconoscendo dopo molti anni perfino la moglie!) fino ai quindici malati curati per sei mesi nei quali il miracolo si è ripetuto e consolidato: recupero della memoria e della fluenza dell’eloquio (su BMC Neurology in luglio).

VIA DI SOMMINISTRAZIONE - Seconda variante rispetto al solito copione è la via di somministrazione del farmaco, del tutto originale. Come spiega Antonio Federico, direttore del dipartimento di scienze neurologiche dell’università di Siena, che segue questa storia con interesse: «L’autore la definisce perispinale: si tratta di un’iniezione nel plesso venoso cervicale, che ha stretti rapporti con le arterie vertebrali che percorrono il collo fino a congiungersi nel tronco basilare che irrora la parte posteriore del cervello. Lo scopo è quello di far arrivare il farmaco nel liquido che bagna l’encefalo (liquor) e da lì ai tessuti cerebrali profondi, soprattutto all’ippocampo, area che sembra giocare un ruolo importante nell’Alzheimer. Il paziente viene posto con il capo inclinato di 30° rispetto al pavimento per sfruttare l’assenza di valvole di queste vene che facilita la penetrazione della sostanza nell’encefalo». Terza variante, anche questa non irrilevante: l’etanercept è un inibitore del fattore di necrosi tumorale alfa, una citochina che tenderebbe ad inceppare il normale ricambio delle connessioni fra i neuroni. L’Alzheimer sarebbe trattata come malattia infiammatoria insomma, secondo un’ipotesi già sostenuta da altri. E le placche di beta-amiloide, la sostanza ritenuta responsabile del processo degenerativo? Uno specchietto per le allodole, fenomeno vistoso quanto innocuo. In effetti già nel 2001 una ricerca dell’università di Cambridge documentò su Lancet la presenza di queste placche in un terzo di cento persone decedute in tarda età ma senza segni di demenza. La cosa più strana è che l’Amgen, la ditta che produce l’etanercept, anziché sostenere il lavoro di Tobinick (il mercato potenziale è di 30 milioni di pazienti nel mondo), ne ha preso le distanze sottolineando che mancano studi di confronto con malati di Alzheimer curati con un farmaco inerte (placebo). E per ora non sembra che abbia intenzione di finanziarli. «Paura di un salto nel buio — afferma Federico — o troppi interessi in gioco su un buon numero di neofarmaci che hanno come bersaglio la beta-amiloide?»

Franca Porciani