Da sempre, per me il 2 giugno è l'unica festa civile italiana. A nemmeno 14 anni avevo una tessera in tasca, l' unica per me. Quella del partito repubblicano di Ugo La Malfa. Ci tengo, al no ai Savoia degli italiani nelle urne, sia pure con un Sud a larga maggioranza per il re. Per questo, il 2 giugno non va confuso con altro. Com'è invece rito. Come ha fatto anche ieri il Capo dello Stato. E come fa chi polemizza a vanvera con la Lega. (...) (...) Che cosa ha detto di fuorviante, secondo me, Giorgio Napolitano? Ve lo ripropongo: «Il 2 giugno 1946, con il referendum istituzionale, prima espressione di voto a suffragio universale nella storia nazionale, gli italiani scelsero la Repubblica ed elessero l'Assemblea costituente, che, l'an no successivo, avrebbe approvato la Carta costituzionale, ispirazione e guida della ricostruzione materiale ed istituzionale dell'Italia e, da allora, simbolo e fondamento della democrazia del nostro Paese». Non ci siamo. Unire la scelta repubblicana espressa dagli italiani con la Costituzione «simbolo e fondamento» è storicamente sbagliato, e politicamente pericoloso. Ed è proprio questo binomio Repubblica-Costituzione, celebrato per 60 anni da tutti coloro che vogliono la Costituzione immodificabile, il retroterra poi delle polemiche infondate espresse ieri per la presunta assenza della Lega dal palco a via dei Fori Imperiali. Poiché la Lega nasce a fine anni Ottanta proprio come forza politica che programmaticamente chiede una riscrittura della Costituzione nella forma di Stato, ecco che il riflesso condizionato dei conservatori è di considerarla sediziosa. Come nella Prima Repubblica la sinistra faceva con il Movimento sociale di Almirante, estraneo al compromesso costituzionale. La polemica con la Lega dice tutto. A parte il fatto che sul palco a Roma c'era il vicepresidente del gruppo leghista al Senato, Sergio Divina. Soprattutto, il ministro dell'Interno Maroni presenziava alla cerimonia ufficiale di Varese. E che bisogna concluderne? Chi chi non sta sul palco romano non commemora a dovere il 2 giugno? Allora aboliamo tutti i festeggiamenti ufficiali nei capoluoghi italiani. Ma, ripeto, è ovvio che il problema non è affatto questo. Sta proprio nell'endiadi riproposta ieri da Napolitano, tra scelta repubblicana degli italiani e vincolo della Costituzione. No, gli italiani non scelsero affatto la Costituzione oggi vigente, quel 2 giugno. NO ALLA MONARCHIA Si pronunciarono solo sulla fondamentale questione istituzionale, tra monarchia e Repubblica. E lo fecero grazie a un decreto luogotenenziale emanato da Umberto II, il numero 98 del 1946, voluto dai monarchici, convinti di avere la maggioranza degli italiani. Mentre il precedente decreto luogotenenziale che aveva, rispetto allo Statuto albertino, posto le basi giuridiche del governo provvisorio del Cln, il numero 152 del 1944, aveva rimesso tutte le scelte sulle nuove istituzioni dello Stato all'Assemblea costituente che, quel 2 giugno, contestualmente al referendum venne eletta dagli italiani. La Costituzione fu il frutto del confronto tra partiti, fino a febbraio del '47 nella redigente "commissione dei 75" guidata da Meuccio Ruini e articolata in tre sottocommissioni, e poi, da febbraio del 1947 fino al 22 dicembre quando vi fu l'approvazione finale, nel plenario della Costituente. Pezzi interi furono riscritti, in aula. E per quanto piaccia giustamente a molti ricordare che alla fine ben 453 su 556 membri della Costituente furono i voti favorevoli al testo che entrò in vigore dal primo gennaio 1948, le due crisi politiche attraversate dai governi De Gasperi avevano segnato in profondità l'atmosfera costituente stessa. E rimasero un caposaldo nell'intero cinquantennio successivo. A febbraio del '47 la prima crisi vide la scissione socialista, con Saragat che abbandonò il frontismo di Nenni per il campo democratico e occidentale. A maggio, la rottura "epocale" della Dc col Pci di Togliatti. Roba non da ridere, visto che i socialisti e comunisti sommati, scelti dagli italiani alla Costituente quel 2 giugno, erano 219 rispetto ai 207 della Dc. Ma questo, appunto, riguarda la storia. Ciò che conta, politicamente, è che gli italiani dissero sì alla Repubblica. Non si espressero invece mai, sulla Costituzione. Ed è almeno da una ventina d'anni ormai, che tra crisi e travagli profondi e laceranti del sistema politico-istituzionale italiano, avremmo dovuto tutti capire - in primis i politici, e più i Capi dello Stato, da Cossiga in avanti - che proprio per salvaguardare la Repubblica scelta e voluta tra tante sofferenze dagli italiani, occorre essere pronti a modificare anche profondissimamente la Costituzione. Essa è figlia del grande compromesso tra tre forze - democristiani, socialisti e comunisti - che non esistono più nell'Italia di oggi. Ma questo fatto da solo, pur molto significativo, non sarebbe in sé decisivo. Se il compromesso disegnato in quel testo si fosse provato tanto lungimirante da reggere sessant'anni con solida e intatta capacità di disegnare attribuzioni e contrappesi ancora efficienti. PREMIER OSTAGGIO Sappiamo tutti che non è così. Non è così nella forma di governo, visto che il parlamentarismo perfetto della Costituzione del '48 disegna un premier senza poteri ostaggio dei partiti. Tanto che gli italiani hanno fatto da sé. Prima coi referendum elettorali, che hanno superato il proporzionalismo esasperato. Poi, sposando energicamente e al volo lo schema non solo nettamente bipolare ma tendenzialmente bipartitico, offerto loro il 14 aprile scorso, da Berlusconi come da Veltroni. Nella forma-Stato, poi, un vero federalismo istituzionale e fiscale è ormai parte coessenziale dell'orizzonte attuativo di questa legislatura. È confermato anche dal sondaggio in cui, per la prima volta, scende sotto il 50% la percentuale di italiani che dichiara per il 2 giugno al Corriere della sera di riconoscersi nell'identità unitaria italiana. L'Italia "una" non ha funzionato. Quella federale è da fare. Per difendere la Repubblica, perché non cada sotto il peso delle proprie inefficienze. Per questo, il 2 giugno non è la festa dell'attuale Costituzione. Come tutte le norme frutto di compromessi politici, la Costituzione si cambia tutte le volte che serve. Il rispetto per la volontà diretta degli italiani è sacro. Quello per i compromessi dei partiti, no. E quando gli uomini delle istituzioni difendono i compromessi politici dietro lo schermo di volontà che il popolo non ha espresso, essi servono i partiti e non le istituzioni.
fonte:LIBERO
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