Dal 26 di febbraio i genitori della piccola Yara Gambirasio stanno aspettando di poter rendere l'ultimo saluto alla loro bambina. Hanno bisogno di poterla veder riposare in pace, per lei hanno scelto una piccola zolla di terra accanto ai nonni paterni nel cimitero di Bonate Sopra.
Dopo la straziante attesa per un ritrovamento della ragazza che non è avvenuto, dopo il traumatico ritrovamento del suo cadavere, dopo le tante ipotesi sulla sua morte e peggio dopo che non esistono praticamente indizi per scovare il suo assassino, questi genitori si vedono anche negare la possibilità di fare un funerale alla figlia.
Il termine del 3 aprile indicato dalla Procura per la riconsegna del cadavere ai familiari sembra poter nuovamente slittare e il dolore dei genitori non può in alcun modo placarsi. C'è bisogno di riportare Yara a casa e poi di accompagnarla nella sua palestra dove le compagne e tutto il paese la saluteranno per l'ultima volta, c'è bisogno di sapere che la piccola è ritornata tra chi la ama e che nessuno le farà più del male, poi la accoglieranno i nonni e la proteggeranno loro.
Almeno questo ai Signori Gambirasio si potrebbe concederlo, si potrebbe donare loro un po' di pace.
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venerdì 25 marzo 2011
Abbiate pietà della famiglia di Yara!
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Yara Gambirasio
sono giornalista dal 1988, ho diretto alcuni giornali, attualmente www.themilaner.it, fondato da me, ho scritto diversi libri relativi al mio vissuto, ma anche a fiabe per bimbi.
lunedì 2 marzo 2009
LA SCUOLA TORNA SEVERA. E NOI?
Pare che finalmente la scuola italiana, conosciuta come la più permissiva del globo terracqueo, si sia decisa a dare un giro di vite. Gli ultimi scrutini hanno fatto registrare un aumento delle insufficienze e una pioggia di 5 in condotta, sembra incredibile ma tirare un righello in testa a un professore non è più consentito.
La scuola dunque ha deciso di fare la sua parte. Bene. Ma ora tocca a noi.
Per «noi» intendo noi genitori della sciagurata generazione cresciuta con lo slogan sessantottino «vietato vietare» e con l'incubo del giudizio del dottor Spock: il piccolo andava nutrito non quando aveva fame ma rispettando gli orari di una tabella prestabilita, una sculacciata ci faceva precipitare in angosciosi sensi di colpa, alla prima insubordinazione dovevamo abbozzare senza reagire perché il pargolo stava semplicemente separando il proprio sé dal nostro noi.
Siamo una generazione traumatizzata dalla paura di traumatizzare i figli. Qualunque cambiamento era percepito come un attentato all'integrità psicologica dell'erede: la nascita del fratellino, l'inizio dell'asilo, la scoperta dell'inesistenza di Babbo Natale.
Naturalmente anche il brutto voto a scuola richiedeva uno psychiatric help di quelli appresi leggendo Charlie Brown. Dimentichi dei ceffoni e dei sequestri di bicicletta subiti nella nostra infanzia ad ogni cinque e mezzo, non appena i nostri figli prendevano un quattro andavamo un po' seccati a chiedere spiegazioni al prof: ma come si permette. Una pagella così-così comporta ormai, di routine, il cambio di scuola; una bocciatura un ricorso al Tar.
Ma è nei giorni di pioggia che noi genitori diamo il peggio. Non appena cadono due gocce, il traffico cittadino si blocca improvvisamente per la concentrazione di migliaia di automobili che convergono verso asili, scuole, licei, istituti tecnici per trarre in salvo i nostri figli. I più previdenti partono a metà mattina per trovare posto sul marciapiedi subito accanto al portone, chissà mai che il ragazzo sia costretto a camminare qualche metro sotto l'acqua. È in quei giorni che ci si accorge che il drammatico problema strutturale delle nostre scuole non è la mancanza di aule ma la mancanza di parcheggi.
Questa ossessione di non traumatizzare i figli, dicevo, i traumi li ha provocati a noi. Ad esempio al maledetto giorno del quattordicesimo compleanno. Si è cominciato negli anni Settanta, quelli delle grandi rivendicazioni sindacali: compiuti i 14 anni, si apriva la vertenza per il 50 cc. Cominciava una trattativa, la promozione era una conditio sine qua non, intanto incombeva l'incubo dell'incidente, molti genitori arrivavano ad augurarsi la bocciatura per rinviare l'acquisto. Oggi il trauma per noi non è più solo la paura dell'incidente, ma anche quella della situazione di emarginazione che il ragazzo potrebbe patire se fosse l'unico, nel branco, a non essere motorizzato.
Il nostro lassismo non ha condizionato solo il mondo della scuola, ma quello dell'intera società, pure del mondo del lavoro. Licenziare un fannullone o anche un ladro è diventato un attentato alla Costituzione, tenere in galera un rapinatore o uno stupratore è un intollerabile ritorno al Codice Rocco (del resto anche noi giornalisti siamo rimasti condizionati, non appena qualcuno viene ammazzato, mettiamo il microfono sotto il naso dei familiari della vittima e chiediamo: vero che ha perdonato?). Il buonismo e il perdonismo, ecco i pilastri sui quali abbiamo costruito la nostra società. Così abbiamo allevato una generazione con gli attributi che abbiamo mostrato noi: inconsistenti. Uno dei pochi primati che l'Italia detiene attualmente è quello dei bamboccioni: da noi i ragazzi di età compresa fra i diciotto e i trentaquattro anni che stanno ancora in famiglia sono il 59 per cento, nel resto d'Europa il 29. Si dice che uno dei motivi sia la difficoltà a trovare un posto di lavoro: ma ieri il Sole 24 Ore - come riporta oggi in questo giornale anche Claudio Borghi - ha spiegato che metà delle offerte di lavoro ai giovani rimangono inevase perché si tratta di contratti a tempo determinato, oppure perché c'è da spostarsi da casa anche di pochi chilometri.
Ben venga l'inversione di tendenza nella scuola, dunque. Per una volta, si dimostra più avanti del resto del Paese.
La scuola dunque ha deciso di fare la sua parte. Bene. Ma ora tocca a noi.
Per «noi» intendo noi genitori della sciagurata generazione cresciuta con lo slogan sessantottino «vietato vietare» e con l'incubo del giudizio del dottor Spock: il piccolo andava nutrito non quando aveva fame ma rispettando gli orari di una tabella prestabilita, una sculacciata ci faceva precipitare in angosciosi sensi di colpa, alla prima insubordinazione dovevamo abbozzare senza reagire perché il pargolo stava semplicemente separando il proprio sé dal nostro noi.
Siamo una generazione traumatizzata dalla paura di traumatizzare i figli. Qualunque cambiamento era percepito come un attentato all'integrità psicologica dell'erede: la nascita del fratellino, l'inizio dell'asilo, la scoperta dell'inesistenza di Babbo Natale.
Naturalmente anche il brutto voto a scuola richiedeva uno psychiatric help di quelli appresi leggendo Charlie Brown. Dimentichi dei ceffoni e dei sequestri di bicicletta subiti nella nostra infanzia ad ogni cinque e mezzo, non appena i nostri figli prendevano un quattro andavamo un po' seccati a chiedere spiegazioni al prof: ma come si permette. Una pagella così-così comporta ormai, di routine, il cambio di scuola; una bocciatura un ricorso al Tar.
Ma è nei giorni di pioggia che noi genitori diamo il peggio. Non appena cadono due gocce, il traffico cittadino si blocca improvvisamente per la concentrazione di migliaia di automobili che convergono verso asili, scuole, licei, istituti tecnici per trarre in salvo i nostri figli. I più previdenti partono a metà mattina per trovare posto sul marciapiedi subito accanto al portone, chissà mai che il ragazzo sia costretto a camminare qualche metro sotto l'acqua. È in quei giorni che ci si accorge che il drammatico problema strutturale delle nostre scuole non è la mancanza di aule ma la mancanza di parcheggi.
Questa ossessione di non traumatizzare i figli, dicevo, i traumi li ha provocati a noi. Ad esempio al maledetto giorno del quattordicesimo compleanno. Si è cominciato negli anni Settanta, quelli delle grandi rivendicazioni sindacali: compiuti i 14 anni, si apriva la vertenza per il 50 cc. Cominciava una trattativa, la promozione era una conditio sine qua non, intanto incombeva l'incubo dell'incidente, molti genitori arrivavano ad augurarsi la bocciatura per rinviare l'acquisto. Oggi il trauma per noi non è più solo la paura dell'incidente, ma anche quella della situazione di emarginazione che il ragazzo potrebbe patire se fosse l'unico, nel branco, a non essere motorizzato.
Il nostro lassismo non ha condizionato solo il mondo della scuola, ma quello dell'intera società, pure del mondo del lavoro. Licenziare un fannullone o anche un ladro è diventato un attentato alla Costituzione, tenere in galera un rapinatore o uno stupratore è un intollerabile ritorno al Codice Rocco (del resto anche noi giornalisti siamo rimasti condizionati, non appena qualcuno viene ammazzato, mettiamo il microfono sotto il naso dei familiari della vittima e chiediamo: vero che ha perdonato?). Il buonismo e il perdonismo, ecco i pilastri sui quali abbiamo costruito la nostra società. Così abbiamo allevato una generazione con gli attributi che abbiamo mostrato noi: inconsistenti. Uno dei pochi primati che l'Italia detiene attualmente è quello dei bamboccioni: da noi i ragazzi di età compresa fra i diciotto e i trentaquattro anni che stanno ancora in famiglia sono il 59 per cento, nel resto d'Europa il 29. Si dice che uno dei motivi sia la difficoltà a trovare un posto di lavoro: ma ieri il Sole 24 Ore - come riporta oggi in questo giornale anche Claudio Borghi - ha spiegato che metà delle offerte di lavoro ai giovani rimangono inevase perché si tratta di contratti a tempo determinato, oppure perché c'è da spostarsi da casa anche di pochi chilometri.
Ben venga l'inversione di tendenza nella scuola, dunque. Per una volta, si dimostra più avanti del resto del Paese.
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E I GENITORI?,
PIOGGIA DI 5 IN CONDOTTA,
SCUOLA SEVERA
sono giornalista dal 1988, ho diretto alcuni giornali, attualmente www.themilaner.it, fondato da me, ho scritto diversi libri relativi al mio vissuto, ma anche a fiabe per bimbi.
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