Visualizzazione post con etichetta su gianfranco fini. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta su gianfranco fini. Mostra tutti i post

giovedì 9 dicembre 2010

La gang degli irresponsabili

Riporto un articolo apparso su Il Culturista a firma dell'amico Vito Schepisi .

Se un esperto di questioni economiche, neutrale, magari non italiano, venisse in Italia a prendere atto delle condizioni della nostra economia, informatosi sul clima politico interno, sorriderebbe. Con ironia anglosassone gli sfuggirebbe quell’espressione molto consueta fuori d’Italia: “Italians!”, che sintetizza le nostre contraddizioni. Chiederebbe poi divertito se il circo dei pazzi avesse, per caso, messo le tende sulla Penisola.
Dopo l’attimo d’ironia, richiesto di esprimersi nel merito, con la serietà per la delicatezza dell’argomento, avrebbe detto che l’Italia è un Paese che non smette mai di sorprendere. Nel bene e nel male. Un’Italia che, nel giro di attimi, sa essere lucida e folle. Prima dimostra, in economia, in una congiuntura molto difficile e pericolosa, come quella della recente crisi mondiale dei mercati, d’essere un grande Paese, con tanta inventiva, con molto carattere e con tanta caparbia volontà di risollevarsi. Subito dopo, invece, alla responsabilità l’Italia fa seguire segnali d’instabilità, e mostra tanto pressapochismo incosciente nel voler aprire una crisi politica al buio, in un momento, invece, in cui apparirebbero più auspicabili la coesione e la responsabilità per favorire la ripartenza.
Prima le lodi a Tremonti per il rigore e la fermezza delle misure adottate, rivelatesi assolutamente vincenti in un Paese gravato da un massiccio debito pubblico, poi le perplessità per la linea delle opposizioni e di parte delle rappresentanze sociali, alle quali si sono associate anche alcune frange della maggioranza, di opporsi al contenimento della spesa, se non persino di pensare ad allargarla.
L’osservatore neutrale avrebbe anche attestato che, all’estero, il nostro Ministro dell’economia è molto stimato e avrebbe osservato come il Ministro abbia contribuito, nei due anni trascorsi, a rilanciare l’immagine dell’Italia fino a farne una protagonista di rilievo sulla scena internazionale e nei vertici tra le più importanti economie industriali della Terra. L’Italia con Berlusconi, Frattini e Tremonti è diventata partner ambito e rispettato dalle grandi potenze, cosa mai accaduta in passato, ed interagisce, in modo credibile e corretto, con tutti i Paesi del mondo, ricevendone, oltre al rispetto, anche i vantaggi di una rete di opportunità nella reciproca collaborazione commerciale.
L’economista avrebbe rilevato, invece, come negativo l’atteggiamento “sfascista” delle opposizioni che, a differenza di ciò che era accaduto negli altri paesi dove, per l’interesse comune, tutte le forze politiche di maggioranza e di minoranza si erano riunite attorno alle misure di contenimento e di cautela, in Italia si erano, al contrario, impegnate a seminare panico. La sfiducia e l’allarmismo, infatti, sono in assoluto i nemici peggiori da battere quando c’è recessione economica.
Fin qui l’osservatore, ma anche a noi è apparsa strana e anacronistica un’opposizione che si richiama ai valori del lavoro e degli impegni sociali e che è, invece, impegnata solo a ostacolare gli sforzi del Governo, anche a dispetto degli interessi di tutti, di ricchi e poveri, di giovani e anziani. In nessun paese democratico le opposizioni assumono atteggiamenti così sfascisti, mostrando così cinico disinteresse per le conseguenze sociali e per le ricadute sull’occupazione e sui giovani. Una follia della sinistra italiana, ma anche di altri nuovi avventurieri che, anch’essi privi di scrupoli, si sono aggiunti per strada.
Esistono, e sono legittime, le differenze politiche tra i modi di pensare allo sviluppo di un Paese. Ogni partito ha le sue strategie e i propri modelli da proporre. Noi pensiamo che alcuni siano farlocchi e che abbiano invece uno sguardo al presente e, in particolare, alle ambizioni dei loro protagonisti. Adattare le scelte politiche alle proprie ambizioni, però, non è un esempio di buon intuito politico, né di grande profilo etico: è un metodo da prima repubblica; un espediente da degenerazione partitocratica; un evidente sintomo di supponenza e di arroganza. Il tentativo di ribaltare le scelte degli elettori innesca una pericolosa deriva autoritaria ed è, allo stesso tempo, sintomo di scarso interesse per il Paese, soprattutto perché una crisi politica oggi è assolutamente da irresponsabili.
VITO SCHEPISI

martedì 19 maggio 2009

LA SINDROME DEL SOLISTA

Gianfranco Fini dice no «a leggi orientate da precetti di tipo religioso». Siccome le leggi le fa la maggioranza di governo, finisce per essere una dichiarazione contro il governo. D’accordo, va bene, ha un ruolo istituzionale, può accadere. Pochi giorni prima, però, Fini aveva criticato la mancanza di leggi a favore degli omosessuali. D’accordo, va bene, ma chi è che non le fa? La sua stessa maggioranza. Gira ancora a ritroso le pagine del calendario, e trovi una dichiarazione del presidente della Camera sul rimpatrio, sulla necessità di fare meno propaganda sul tema immigrazione. E chi è che farebbe questa propaganda? Ma la sua stessa maggioranza, anche stavolta. Così come quando Fini diceva che si spendevano parole irresponsabili sul Capo dello Stato, ce l’aveva proprio con il capogruppo del Pdl al Senato, Maurizio Gasparri. E non va nemmeno trascurato il fatto che tutti i giornali - nessuno escluso - abbiano indicato Fini come ispiratore della carica dei 101 parlamentari contro i nuovi articoli di legge che avrebbero introdotto la cosiddetta norma dei «medici spia». E forse nel conto andrebbe anche aggiunto, per onor di cronaca, che la famosa polemica sulle veline, è stata innescata da un editoriale di fuoco di una esponente della Fondazione Fare Futuro, diretta emanazione del presidente della Camera. Giusto, legittimo, per carità. Ma una riflessione, alla luce di tutti questi elementi si impone.
E così sorge un dubbio: che il presidente della Camera sia super partes, non solo è un bene, è anche auspicabile. Ma che il presidente della Camera diventi una sorta di «anti-leader» pronto a puntare l’indice accusatorio contro ogni provvedimento del suo stesso partito, e dello stesso schieramento che lo ha espresso, questo è singolare. Non abbiamo mai visto Pietro Ingrao o Nilde Iotti andare contro il Pci, nessuno ha mai sentito Giorgio Napolitano accusare da presidente della Camera l’Ulivo di Prodi. Quando Irene Pivetti ha rotto con la Lega ha lasciato Montecitorio e Pier Ferdinando Casini, negli anni in cui occupava la terza carica dello Stato, aveva delegato tutti i suoi poteri di segretario politico a Marco Follini, al punto di entrare in rotta con lui, a fine mandato. Ma esiste anche una prova contraria. Nel bel libro di Rodolfo Brancoli sul suicidio del governo Prodi si indica un punto cronologico ben preciso, come momento di inizio del processo di degrado della maggioranza. Il giorno in cui Fausto Bertinotti definì il leader del suo stesso schieramento «il più grande poeta morente». 
Il paradosso è dunque questo: da quando Fini è entrato nel Pdl, l’alleato più leale di Silvio Berlusconi si è trasformato in un giocatore che appare smarcato da ogni spirito di appartenenza. È giusto questo, oppure è sbagliato? È un bene o un male? Come minimo è curioso. Il livello di polemica si è alzato proprio quando avrebbe dovuto sopirsi, la conflittualità è sorta, proprio nel momento in cui sceglieva una casa comune. E questo è sicuramente sbagliato. Allo stesso tempo, un fenomeno altrettanto singolare fa sì che sempre dopo la nascita del Pdl la Lega abbia inaugurato una sorta di diplomazia separata, che è nata con la legge sul federalismo, ma che poi si è accentuata subito dopo, su un doppio registro: mani libere nel dialogo con la sinistra per portare a casa le cose che interessano al Carroccio, e posizioni radicali sui temi che Bossi considera sensibili, ignorando le difficoltà create alla maggioranza. 
Insomma, questo Pdl, che doveva nascere per unire, per ora sembra che abbia subito molte divisioni. Come se il modello non fosse più quello indicato da Silvio Berlusconi alla Fiera di Roma. Così, in mezzo a tanti dubbi, una cosa è certa: il discorso del Predellino aveva illuminato un’altra prospettiva. E se alcune uscite possono essere giustificate dal prossimo voto, altre ricordano un po’ troppo la sindrome Follini. No, il Pdl non è nato per questo.
da il Giornale