Se tieni per troppo tempo la maschera, finisci per farla diventare la tua faccia. Leggo che questo è un proverbio indiano, non so con quanto fondamento. Sta di fatto che l'idea è azzeccata e colpisce indiscriminatamente, perché una qualche maschera l'abbiamo sempre nel nostro guardaroba spirituale. Alcune volte ci serve per proteggere la nostra intimità da ogni curiosità eccessiva, ed è allora una cosa buona. Altre volte, però, è un sotterfugio per celare le nostre vergogne e apparire perfetti, e allora può sconfinare in ipocrisia. Altre volte ancora è una sorta di visiera che ci isola dal resto del mondo perché si teme il confronto "a viso aperto". C'è, dunque, una negatività nel mascherarsi che può essere lieve quando è un gesto transitorio e giustificabile da debolezze o paure. Diverso è il caso prospettato dall'aforisma indiano: esso denuncia l'incrostazione permanente che deforma il volto in modo definitivo. È appunto la falsità elevata a regola di vita ed è pericoloso mettersi su questa strada perché spesso non si può tornare indietro e si precipita di inganno in inganno, di menzogna in menzogna. Si arriva fino al punto di mentire a se stessi e progressivamente la falsità si trasforma in pseudo-verità. Dobbiamo, però, dire che può verificarsi anche quello che affermava il presidente americano Abraham Lincoln: «Potete ingannare tutti per qualche tempo o alcuni per tutto il tempo, ma non potete prendere per il naso tutti per tutto il tempo». Giunge, infatti, il momento in cui o per una nostra debolezza o per una particolare acutezza dell'altro, ci viene strappata a forza la maschera e, per usare la famosa espressione, il re diventa nudo. Il nostro orgoglio sarà frustato in faccia e le illusioni create attorno a noi si scioglieranno come neve al sole, lasciando solo l'amara realtà del vero nostro volto.
Mons. Ravasi- I mattutini
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