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martedì 16 giugno 2015

DODICI ORE DELLA MIA GIORNATA


Questo racconto di vita, scritto quando mio papà era ancora vivo, ha vinto un premio dal Corriere della Sera. Il tema erano 12 ore della giornata. . L' ho ritrovato sul computer e ve lo propongo, ditemi se vi ci rispecchiate.


DODICI ORE 
Suona la sveglia. Mario, chiama Gio, nostra figlia. Abbiamo i minuti contati. Guardo il Tg5 in attesa del mio turno per il bagno. Mario porta fuori Rhoda, la nostra cagnona, Gio prepara il caffè. 
Ci sediamo al tavolo della cucina, due fette biscottate intinte nella nera e fumante miscela,due biscotti al cane, uno sguardo rapido alla posta elettronica e siamo tutti pronti per uscire. 
L’auto, la lotta per il parcheggio.Ci sarà la fiera o no? Cerco le righe blu, non ho il pass e rischio la multa. Pazienza. 
Lascio Gio al lavoro, rientro e rassetto la casa. Forse sarà una giornata normale. Ho imparato che con un padre ammalato di Alzheimer nessuna giornata può essere normale, ma ci spero ugualmente.
Una scampanellata fa abbaiare Rhoda. Mio padre mi si para davanti, vuole uscire. Sono solo le nove e mia madre non controlla più il suo iperattivismo. Non può uscire da solo. 
Riesco a farlo tornare di sopra. Due minuti dopo si ripete esattamente la stessa scena e la mia angoscia cresce, mi dico che questa malattia ha travolto le nostre vite. 
Alle dieci i miei genitori escono per fare un po’di spesa ai negozietti del QT8, il nostro quartiere da sempre. 
Davanti all’unica stecca di negozi hanno giocato e sono cresciuti i miei figli e ora lo stesso luogo protegge la vecchiaia dei miei genitori.
Il quartiere è pieno di anziani, brava gente che si conosce da una vita. La malattia di mio padre è certamente nota ai più. Superato il primo imbarazzo per il mostro chiamato Alzheimer, molti di loro cercano di essere amichevoli con lui e non si stupiscono più se dice di aver giocato con Gullit. La loro umanità contribuisce a fare di questo luogo l’unico in cui vorrei vivere.
Porto Rhoda sulla Montagnetta, cammino per i bellissimi viali, i colori della primavera mi fanno compagnia, le corse della mia cagnona mi mettono di buonumore, chiacchiero con gli altri padroni di cani e dimentico i miei problemi. Penso che la felicità non è mai troppo lontana da noi, anche oggi l’ho trovata. 
La ricreazione è finita, rientro a casa. Mia madre mi racconta puntigliosamente i peggioramenti della malattia. Non ricorda che questo povero vecchio è mio padre e che io ne soffro già la perdita. Minimizzo:“Mamma,lascia perdere, il papà è malato,”. La sua risposta è sempre:“Dovresti provare tu”. Vorrei gridarle che sono piena di dolore anch’io, ma le faccio solo una carezza.
Mi metto al computer per sbrigare un po’ di lavoro.Il tempo passa in fretta, devo uscire nuovamente per recuperare mia figlia. Percorro nuovamente la circonvallazione, “la strada più brutta del mondo” a detta di mio nipote ed è subito pomeriggio.
Mio padre si perde in ascensore, lo recupero seguendo il percorso luminoso della cabina. Mi dice che vorrebbe che noi si andasse con lui a giocare a pallone. Per fortuna arriva Raul, il filippino. Escono insieme, li vedo allontanarsi e mi si stringe il cuore. Il pallone rimbalza sul marciapiede e loro sembrano due ragazzi felici. So che si fermano davanti alla chiesa, in un gran prato a fare qualche tiro. Forse mio padre ricorda di aver giocato nel Milan o forse No. Ma certo si diverte come un bambino.
Il pomeriggio mi concedo con Gio un caffè in pasticceria. Rhoda viene sempre con noi, i suoi sono 50 chili di amore prezioso. Al rientro a casa troviamo Mario, una mezz'ora per parlarci e mio padre scende nuovamente per chiedere di essere invitato a cena. La cosa si ripete ormai tutte le sere e non abbiamo più risposte, a volte lo faccio rimanere a volte non posso travolgere la mia famiglia più di quanto già lo sia.
Più tardi mi raggomitolo sul divano in cerca di protezione. Rhoda mi lecca le mani, giò legge, Mario è al computer. 
Dormire? Per me è diventato difficile, ma ci provo.
Manuela Valletti
Milano 2005

martedì 11 settembre 2012

Vittorio Colò si è tolto la vita a 101 anni

Vittorio Colò avvia all'atletica i ragazzi delle scuole medie

Ha scelto di fermare il tempo Vittorio Colò e lo ha fatto senza esitazione nella chiesa del suo quartiere, un quartiere che è anche il mio. A novembre avrebbe compiuto 101 anni e per tutta la vita aveva praticato l'atletica, in particolare la corsa. Era stato allenatore per la mitica Atletica Riccardi sia di mio marito che di mio figlio. Come è strana la vita, due generazioni sui campi di atletica e sempre e solo lui a dare consigli a prendere i tempi, insomma un mito e non solo per la mia famiglia. 
Una fila di record del mondo e venticinque primati nazionali nella categoria Master. Sette medaglie ai Mondiali per veterani del 1997 in Sudafrica. Vittorio Colò ha corso fino al 2006 quando aveva 95 anni. L'ultimo record è di due anni prima: tre metri nel salto in lungo nella categoria over 90. 
Domenica scorsa, poco dopo mezzogiorno, è uscito dalla sua casa di via Pergine, davanti al Monte Stella al quartiere Qt8. Ha percorso poche centinaia di metri a piedi, è entrato nella chiesa dedicata a Santa Maria Nascente e s'è sparato un colpo di pistola alla testa.
Un unico, letale, proiettile dall'arma che per anni aveva regolarmente denunciato. Sul pavimento, appoggiati con ordine e cura: la carta d'identità, un foglietto con il nome e il numero del cellulare del figlio, una serie di lettere indirizzate alla famiglia. La grafia ferma, poche parole per chiedere scusa. Nessuna motivazione, solo la stanchezza - come ricorda il figlio arrivato in parrocchia assieme alla moglie - per una vita che stava presentando il conto: «Da quando aveva smesso con lo sport era iniziato un lungo malessere, non una depressione. Ma qualcosa gli mancava. Un anno fa, dopo la festa per i 100 anni, con l'Ambrogino d'Oro del Comune, sembrava essere tornato più solare. Poi il calo fisico s'era fatto sentire, non lo accettava». La sua gioventù era durata fino ai 95 anni, senza invecchiare mai, correndo a 89 anni i 100 metri in 16 secondi e mezzo. «Era la sua vita, adorava confrontare statistiche e record - spiega il figlio -. Viaggiava per il mondo e non smetteva di allenarsi». Non un eterno ragazzo, nessun patto con il diavolo. «Sapeva che il tempo non lo avrebbe risparmiato. 
Colò, nato il 9 novembre 1911 a Riva del Garda (Trento), da studente del liceo venne arruolato per il Gran premio dei giovani. Era il 1929. Una gara, poi subito la finale nazionale del pentathlon. I record regionali e gli anni nelle fila della gloriosa scuola d'atletica Quercia di Rovereto. Infine il trasferimento forzato a Milano per gli studi universitari (Chimica) e il lavoro in una grande industria. Lo stop con l'atletica «a malincuore», come racconterà lui stesso in un'intervista ad una rivista dedicata al mondo della corsa: «Arrivavo quinto o sesto nazionale, non aveva senso proseguire». Un amore interrotto, ma mai sopito. Dopo la pensione il ritorno sulla pista grazie alla storica associazione sportiva milanese Atletica Riccardi. Prima come allenatore: conseguì il «patentino» e iniziò a lavorare con i ragazzi due giorni a settimana. Inventò i corsi di avviamento all'atletica. Suo allievo è stato Andrea Colombo, finalista nella 4 x100 ai Giochi di Sydney. Poi le gare Master, una sorta di grande campionato mondiale diviso per fasce d'età. Colò le ha scalate tutte fino, appunto, alla M95 dedicata agli ultranovantenni. Vittorie, podi e record tanto da farne diventare un personaggio internazionale. Interviste, servizi fotografici, perfino la Rete che impazzisce per quello che ribattezzano «il nonno sprint». Di lui si sono innamorati anche i giornalisti sportivi del Mundo , dopo una gara in terra di Spagna. Colò è un atleta forte e invincibile, con le dovute proporzioni, come Usain Bolt o Michael Phelps. Accanto, dopo il matrimonio celebrato quando aveva cinquant'anni, la moglie Enrica. Un unico figlio, che oggi lavora in Università, due nipoti. 
Ecco, ora la sua corsa è finita davvero e a noi manca già tanto, eravamo abituati ad incontrarlo per le vie del quartiere e a ricordare con lui i bei tempi, ciao Vittorio!

giovedì 7 aprile 2011

La montagnetta di San Siro.



Bella la canzone che Nanni Svampa dedica alla  mia Montagnetta e bello anche il video! 
Il Monte Stella, così chiamato per volere dell'Architetto Bottoni a cui si deve il progetto di tutto il QT8 (Quartiere Triennale Ottava), nasce proprio dalle macerie della II Guerra Mondiale. Ricordo ancora i la fila di  camion che portavano in quel luogo ciò che rimaneva delle case, delle chiese, delle fabbriche della Milano bombardata, ricordo anche che molte persone assistevano agli scarichi con grande commozione.
Ora il Monte Stella è un parco meraviglioso, molto curato e caratteristico, è veramente  una piccola montagna, con salite e discese, con molti alberi ma anche spazi verdi completamente fruibili. In primavera si diffonde nell'aria un profumo fruttato veramente particolare e in autunno le foglie che cadono creano meravigliosi tappeti nei viali. Durante tutto l'anno il parco è  molto visitato:studenti delle scuole del quartiere, sportivi, padroni di cani e  bimbi con i genitori si godono una boccata di ossigeno e ammirano dalla cima  la Madonnina del Duomo  e le Prealpi.
Da qualche anno il Parco Montestella ospita il Giardino dei Giusti, che ricorda con tanti alberi e sobrie pietre tutti quei "Giusti" che hanno contribuito a salvare vite umane. Il Giardino è collocato molto opportunamente direi, viste le origini storiche della montagnetta.