Visualizzazione post con etichetta dolore. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta dolore. Mostra tutti i post

giovedì 10 settembre 2015

Perdonate, ma oggi la mia schnauzer Flora è morta.......

Ieri, martedì 8 settembre, è stato il mio ultimo giorno di vita

flora
Ieri me ne sono andata per sempre, non so che cosa sia successo, ma all'iimprovviso ho visto tutto nero e sono caduta a terra, ho sentito in lontananza la mamma che mi chiamava e piangeva, ma io ero già lontana e non potevo tornare indietro. E' così che è finita la mia avventuira sulla terra, penso di essere stata una brava cagnolona, forse un po' pazzerella, ma piena d'amore da regalare a chi mi ha voluto bene. Il mio fratellino Strauss è triste e mi cerca, ma io cerco di suggerirgli di stare tranquillo, presto avrà un'altra compagna di giochi. Papà, mamma e Giovanna piangono, mi chiamano.... e io vorrei tornare, ma non posso, qualcuno mi ha detto che devo stare qui, in questo posto meraviglioso dove c'è anche Rhoda, e BillY e Grigio e Lady e Leone ... tutti i cani e i gatti che sono stati nella mia famiglia. Papà e mamma. non posso tornare, ma posso starvi vicino, e quando vi sentirete soli..e malinconici ci sarà la mia zampona sulle vostre ginocchia e magari troverete un osso.... come se fosse capitato li per caso. Vi voglio bene.
CIAO A TUTTI!
FLORA Schnauzer Gigante
26-10-2005/8-09-2014

martedì 16 giugno 2015

DODICI ORE DELLA MIA GIORNATA


Questo racconto di vita, scritto quando mio papà era ancora vivo, ha vinto un premio dal Corriere della Sera. Il tema erano 12 ore della giornata. . L' ho ritrovato sul computer e ve lo propongo, ditemi se vi ci rispecchiate.


DODICI ORE 
Suona la sveglia. Mario, chiama Gio, nostra figlia. Abbiamo i minuti contati. Guardo il Tg5 in attesa del mio turno per il bagno. Mario porta fuori Rhoda, la nostra cagnona, Gio prepara il caffè. 
Ci sediamo al tavolo della cucina, due fette biscottate intinte nella nera e fumante miscela,due biscotti al cane, uno sguardo rapido alla posta elettronica e siamo tutti pronti per uscire. 
L’auto, la lotta per il parcheggio.Ci sarà la fiera o no? Cerco le righe blu, non ho il pass e rischio la multa. Pazienza. 
Lascio Gio al lavoro, rientro e rassetto la casa. Forse sarà una giornata normale. Ho imparato che con un padre ammalato di Alzheimer nessuna giornata può essere normale, ma ci spero ugualmente.
Una scampanellata fa abbaiare Rhoda. Mio padre mi si para davanti, vuole uscire. Sono solo le nove e mia madre non controlla più il suo iperattivismo. Non può uscire da solo. 
Riesco a farlo tornare di sopra. Due minuti dopo si ripete esattamente la stessa scena e la mia angoscia cresce, mi dico che questa malattia ha travolto le nostre vite. 
Alle dieci i miei genitori escono per fare un po’di spesa ai negozietti del QT8, il nostro quartiere da sempre. 
Davanti all’unica stecca di negozi hanno giocato e sono cresciuti i miei figli e ora lo stesso luogo protegge la vecchiaia dei miei genitori.
Il quartiere è pieno di anziani, brava gente che si conosce da una vita. La malattia di mio padre è certamente nota ai più. Superato il primo imbarazzo per il mostro chiamato Alzheimer, molti di loro cercano di essere amichevoli con lui e non si stupiscono più se dice di aver giocato con Gullit. La loro umanità contribuisce a fare di questo luogo l’unico in cui vorrei vivere.
Porto Rhoda sulla Montagnetta, cammino per i bellissimi viali, i colori della primavera mi fanno compagnia, le corse della mia cagnona mi mettono di buonumore, chiacchiero con gli altri padroni di cani e dimentico i miei problemi. Penso che la felicità non è mai troppo lontana da noi, anche oggi l’ho trovata. 
La ricreazione è finita, rientro a casa. Mia madre mi racconta puntigliosamente i peggioramenti della malattia. Non ricorda che questo povero vecchio è mio padre e che io ne soffro già la perdita. Minimizzo:“Mamma,lascia perdere, il papà è malato,”. La sua risposta è sempre:“Dovresti provare tu”. Vorrei gridarle che sono piena di dolore anch’io, ma le faccio solo una carezza.
Mi metto al computer per sbrigare un po’ di lavoro.Il tempo passa in fretta, devo uscire nuovamente per recuperare mia figlia. Percorro nuovamente la circonvallazione, “la strada più brutta del mondo” a detta di mio nipote ed è subito pomeriggio.
Mio padre si perde in ascensore, lo recupero seguendo il percorso luminoso della cabina. Mi dice che vorrebbe che noi si andasse con lui a giocare a pallone. Per fortuna arriva Raul, il filippino. Escono insieme, li vedo allontanarsi e mi si stringe il cuore. Il pallone rimbalza sul marciapiede e loro sembrano due ragazzi felici. So che si fermano davanti alla chiesa, in un gran prato a fare qualche tiro. Forse mio padre ricorda di aver giocato nel Milan o forse No. Ma certo si diverte come un bambino.
Il pomeriggio mi concedo con Gio un caffè in pasticceria. Rhoda viene sempre con noi, i suoi sono 50 chili di amore prezioso. Al rientro a casa troviamo Mario, una mezz'ora per parlarci e mio padre scende nuovamente per chiedere di essere invitato a cena. La cosa si ripete ormai tutte le sere e non abbiamo più risposte, a volte lo faccio rimanere a volte non posso travolgere la mia famiglia più di quanto già lo sia.
Più tardi mi raggomitolo sul divano in cerca di protezione. Rhoda mi lecca le mani, giò legge, Mario è al computer. 
Dormire? Per me è diventato difficile, ma ci provo.
Manuela Valletti
Milano 2005

mercoledì 30 maggio 2012

La forza della vita nella sofferenza


“A volte arriva in modo silenzioso e subdolo, come la muffa sul muro, oppure irrompe nella quiete di casa nostra come un bandito, con prepotenza: arriva il dolore. È la sofferenza causata dal distacco di persone care, di situazioni di vita disperate, dalla difficoltà di vivere in pace con noi stessi o con gli altri oppure è causato dalla solitudine o dalla malattia sia essa del corpo o dello spirito …” (Dal messaggio dei Vescovi italiani per la 31a giornata per la vita).
Leggo questo messaggio il giorno dopo aver visitato un malato terminale: mi sono sentito fragile e miserabile di fronte alla sofferenza di quest’uomo, la mia sicurezza, la mia spavalderia si sono infrante di fronte al volto della morte. Un volto che si è presentato ai miei occhi con tutta la sua tracotanza, la sua crudezza, mi sono sentito impotente, deluso, senza desiderio, privo di speranza. Quel Dio che io cerco, per un attimo ho pensato che fosse invenzione dell’uomo per lenire la disperazione. Ma la disperazione è il passo verso il nulla, il disperato è colui che non vede il domani è un uomo senza più legami, senza appigli, in balia delle tempesta e il vento del dolore.
In questa condizione è impossibile credere, perché il dolore ti paralizza, ti toglie il respiro e credi che la morte e meglio della vita. La disperazione si fa depressione, sfiducia in se e negli altri, rinunciando a qualsiasi sentimento. Il passo successivo è la negazione della propria identità.
Non riesco a non pensare a quell’uomo, disteso tra le braccia della morte, chiuso nella sua solitudine. Si perché dolore è spesso solitudine. Noi cristiani amiamo esorcizzare il dolore e abbiamo sostituito i crocifissi tanto cari a Teresa D’avila, Caterina da Siena, con dei crocifissi di un Cristo che non soffre, con un corpo composto, senza nemmeno una ferita, impedendoci di guardarci dentro e penetrare i sentimenti più recessi.
Quando ho provato a parlare del dolore di quest’uomo, dopo un attimo, tutti, hanno cambiato discorso. Sono consapevole che la sofferenza fa paura, ma non possiamo aggirarla, soggiogarla, infinocchiarla, prima o poi arriverà: « in modo silenzioso e subdolo, come la muffa sul muro, oppure irrompe nella quiete di casa nostra». Quindi, il dolore si deve tramutare in speranza, perché chi ha speranza crede ancora nella vita. È importante credere, è necessario credere, perché ti fa vivere e la sofferenza acquista un significato, un senso. «La sofferenza è l’unico mezzo valido per rompere il sonno dello spirito» (SAUL BELLOW ). Certo, il malato terminale fa paura, hai difficoltà a guardarlo negli occhi, Giobbe lo descrive in maniera drastica: «a mia moglie ripugna il mio alito, faccio schifo ai figli del mio ventre» (19,17). È disperazione ma anche speranza, è tenebra ma anche luce, è distruzione ma anche purificazione. La sofferenza è anche trasfigurazione del corpo e dello spirito: «nulla di più fiele del soffrire, nulla di più miele dell’aver sofferto; nulla di fronte agli uomini sfigura il corpo più della sofferenza, ma nulla di fronte a Dio abbellisce l’anima più dell’aver sofferto» (Meister Eckhart). La sofferenza ci da anche la forza che non immaginavamo di avere. Mai come nel dolore ci si accorge di non avere un corpo, ma di essere un corpo che è segno di una realtà più profonda. Un corpo da amare, rispettare, divinizzare.
Porterei quel corpo morente di quell’uomo all’ingresso di ogni scuola, di ogni ufficio, di ogni Chiesa, nelle riunioni dei grandi della Terra, nei Concili ecumenici, nelle riunioni parrocchiali e nelle riunioni condominiali, perché tutti si rendessero conto che: «la mia esistenza […] è un nulla. Solo un soffio è ogni uomo che vive, come ombra è l’uomo che passa; solo un soffio che si agita»( Sal 39, 6-7). Lo porterei perché nella nostra società contemporanei regna la cultura del “divertimento a tutti i costi”. Divertimento vuol dire sposta¬re lo sguardo. Il divertimento è guardare qualcosa d'altro rispetto a quello che dovresti guardare. "Divertere" è il contrario di "converte¬re", cioè spostare lo sguardo su ciò che val la pena guardare.
Allora, ci divertiamo, dimentichiamo per non pensare, l’uomo si di-verte rispetto all'oggetto vero della sua volontà, del suo intelletto, del suo cuore, del suo desiderio e non pensa che la sofferenza rivela la nostra vera realtà, che manifesta il nostro limite di creature caduche, che fa scoprire quell’impotenza e quella solitudine insita nel cuore di ogni uomo. Davanti a quel malato mi sono chiesto: «Perché Signore? Fino a quando?» (Sal 13). Purtroppo il dolore nei credenti resta sempre uno scandalo, perché continuano a vivere nell’oscurità, invece di intravedere nella sofferenza uno spiraglio di luce.
Allora, coraggio, viviamo nella speranza di scoprire la perla più bella, penetriamo gli abissi del dolore:
«Come un pescatore di perle, o anima mia, tuffati.
Tuffati nel profondo, tuffati ancora più giù, e cerca!
Forse non troverai nulla la prima volta.
Come un pescatore di perle, o anima mia,
senza stancarti, persisti e persisti ancora,
tuffati nel profondo, sempre più giù, e cerca!»
(Swami Paramânanda ).

sabato 7 aprile 2012

Ho bisogno di silenzio

Ho bisogno di silenzio
come te che leggi col pensiero
non ad alta voce
il suono della mia stessa voce
adesso sarebbe rumore
non parole ma solo rumore fastidioso
che mi distrae dal pensare.

Ho bisogno di silenzio
esco e per strada le solite persone
che conoscono la mia parlantina
disorientate dal mio rapido buongiorno
chissà, forse pensano che ho fretta.

Invece ho solo bisogno di silenzio
tanto ho parlato, troppo
è arrivato il tempo di tacere
di raccogliere i pensieri
allegri, tristi, dolci, amari,
ce ne sono tanti dentro ognuno di noi.

Gli amici veri, pochi, uno?
sanno ascoltare anche il silenzio,
sanno aspettare, capire.
Chi di parole da me ne ha avute tante
e non ne vuole più,
ha bisogno, come me, di silenzio.

Alda Merini

Vi regalo questa poesia della Merini perchè la Pasqua quest'anno è tanto sofferta, sono in molti ad avere delle pene nel cuore e per tutti occorre invocare un po' di silenzio, per riflettere, per ritrovare il senso delle cose, per provare ad essere ancora felici, nonostante tutto.

lunedì 26 marzo 2012

Picconare i ricordi

Dalle  8 di questa mattina i nuovi proprietari stanno ristrutturando la casa che fu dei miei genitori e che è nel mio stesso palazzo.
Vorrei essere da un'altra parte e non certo per il rumore.
In quell'appartamento ci entrai da ragazzina... la casa di proprietà era stata una conquista per la mia famiglia... finalmente la cooperativa aveva terminato di costruire il palazzo e uno di quei bellissimi appartamenti era il nostro. In quell'epoca, nel 1959, avevamo gli "innovativi" pannelli radianti, l'acqua calda era centralizzata e la vasca da bagno veniva  sostituita da una grande cabina doccia. Ricordo mio padre disegnare sulla piantina la disposizione dei mobili che aveva fatto fare dal padre di un giocatore del Cesano che era un grande mobiliere, tutti in noce, tutti a misura, tutto studiato nei minimi dettagli.
La camera mia e di mia sorella era rallegrata da un armadio chiaro che sulle ante superiori aveva le illustrazioni degli innamorati di Peynet, era una meraviglia! La sala  era molto moderna, era in stile svedese... allora si usava molto.
Mi piaceva tutto, l'unica cosa che mi mancava era il mio vecchio quartiere. così vivo, così pieno di negozi... il nuovissimo QT8, anche se si era già conquistato la fama di quartiere modello, stava nascendo proprio in quegli anni, in pratica era costituito da 2 case a stella, una delle quali la nostra.
Andavo alle superiori in Corso Sempione e mi dovevo fare un bel pezzo di strada a piedi per prendere la filovia, il rientro era "pericoloso", in strada non c'era nessuno e allora la mia nonna Maria, mi veniva incontro con il Leone, il nostro cagnolino di allora, piccolo e molto agguerrito, che fu purtroppo la prima vittima della nuova casa: nel condominio gli animali non erano accettati e i miei genitori furono irremovibili, nonostante la disperazione mia e di mia sorella. Leone venne regalato ad una famiglia amica, ma sapemmo poi che per ritornare da noi era fuggito ed era stato investito da un camion.
Accaddero poi molte altre cose, belle e brutte come è la vita, e la nostra casa seppe "contenere tutto" discretamente e offrire a tutti noi un riparo materiale e morale perchè era la  casa di papà e mamma.
Ora sopra la mia testa picconano e io vorrei non essere qui.

domenica 11 dicembre 2011

Ciao Viorika, che la terra ti sia lieve!

Viorika era una ragazza Ucraina arrivata in Italia molti anni fa per lavorare. Grande lavoratrice, con un cuore pieno di generosità si era fatta benvolere da tutti le persone che le avevano dato lavoro.
Nel 2066 Viorika attraversò la strada che io stavo percorrendo con tanta difficoltà e tanto dolore e diede una mano a mio padre malato di Alzheimer. Papà patì moltissimo ma lei riuscì a farlo tornare a casa dall'ospedale e si disse disponibile a prendersi cura di lui. Si trattava di una persona allettata, bisognosa di molte cure e di molte attenzioni. Lei ce la mise tutta , ci riuscì e lo fece per sette lunghi mesi.  Lui, il mio adorato papà, riusciva a dirle "grazie" tutte le volte che dal letto lo spostava sulla sedia a rotelle poi  le sorrideva e le faceva una carezza.
Viorika nel giorno del suo matrimonio


Poi mio padre se ne andò e lo fece anche lei, trovò un altro lavoro e poi un altro ancora, ma mantenne con me e la mia famiglia un bel rapporto.
Nel novembre dello scorso anno ricevetti posta dalla Romania, Viorika mi comunicava che si sarebbe sposata con un bravo ragazzo, Dorin, nella sua nuova patria, mi promise anche che sarebbe  tornata presto a Milano e che in quel frangente ci saremmo riviste.
Questo non accadde purtroppo.... mi annunciò la sua gravidanza, era al settimo cielo. Aveva altre tre figli ma abitavano in Ucraina con il suo primo marito e questo la faceva tanto soffrire, questa nuova piccolina l'avrebbe certo aiutata a ritrovare un po' di serenità.
Sapevo che entro il 5 di dicembre sarebbe dovuto avvenire il lieto evento ma le notizie non arrivavano.
Una telefonata l'8 dicembre mi dava una notizia che non avrei mai voluto avere:  Viorika era morta e con lei la sua bimba, dopo 30 ore di travaglio aveva bisogno di un cesareo e nell'ospedale non c'era l'anestesista. Una morte assurda nel 2011, una tragedia per cui il marito si è rivolto alle autorità affinchè venga aperta una inchiesta... Però lei non c'è più, se ne è andata con la sua bimba stretta al cuore.
Finisce qui la storia di una ragazza che aveva sperato di essere felice, e lo sperava con tutta se stessa  mentre aiutava gli altri con tanta generosità. Lascia un marito in lacrime, i suoi tre ragazzini e i genitori anziani ai quali con il suo lavoro e tante privazioni  aveva costruito una casa di cui era molto molto fiera.
A riprova di quanto la vita sia ingiusta!
Ciao Viorika, che la terra ti sia lieve!




martedì 23 agosto 2011

Alex, il cane morto di crepacuore

In una società che ignora i sentimenti e le buone azioni il piccolo Alex brilla di luce propria. 
Ecco la cronaca della sua ultima giornata.

E' morto dopo aver vegliato la sua padrona, in attesa che qualcuno arrivasse. Protagonista della vicenda, avvenuta a Calderara di Reno, alle porte di Bologna, un bulldog  di nome Axel, che ha abbaiato oltre un'ora, per chiamare aiuto per la sua padrona che stava morendo. Quando i soccorsi sono arrivati, chiamati dai vicini allertati da quegli strazianti latrati, era troppo tardi. Il cane è poi morto, probabilmente di crepacuore.
Carabinieri e personale di Bologna Soccorso sono intervenuti intorno alle 4 della scorsa notte, chiamati dai vicini che avevano segnalato un incessante guaito di un cane provenire da uno degli appartamenti. Dopo avere suonato invano il campanello e sentito i lamenti dell'animale, i militari hanno contattato un parente della pensionata che, nel giro di pochi minuti, è arrivato con le chiavi.

Entrati in casa, hanno trovato, disteso sul pavimento, il corpo ormai senza vita della donna, malata di cuore e stroncata probabilmente da un arresto cardiocircolatorio, e il cane che guaiva accanto a lei.

Durante tutto il tempo in cui il personale del 118 ha verificato e poi accertato il decesso della donna, Axel non si è mai allontanato dalla padrona. Poi si è improvvisamente accasciato a sua volta ed è morto. Di crepacuore, secondo i medici.

giovedì 18 dicembre 2008

Ricordando Rhoda

Capita che un dolore che pensavi sopito irrompa con prepotenza nel tuo cuore, capita che i tanti ricordi legati a quel dolore riaffiorino alla mente una una nitidità impressionante e nei minimi particolari.
Il 17 dicembre di 3 anni fa, in una bellissima giornata di sole, la mia famiglia ha dovuto prendere la decisione pù terribile che si possa prendere, quella di far finire una vita, la vita della nostra Rhoda, la nostra grande schnauzerona. Solo quindici giorni prima avevamo scoperto del tutto casualmente che Rhoda aveva un linfoma, la terapia cortisonica che sembrava funzionare in realtà non era servita a nulla e in una settimana lei si era molto aggravata, si sforzava di uscire e lo faceva per noi in un ultimo gesto d'amore, ma era tanto affaticata.
La sera prima non aveva toccato cibo e durante la notte aveva dato di stomaco, ma quella mattina era riuscita a salire sul lettone... è stata l'ultima volta.
Ricordo di essere andata al supermercato e di non aver preso i suoi soliti snack, ricordo la telefonata di mia figlia che aveva parlato con il veterinario che la voleva vedere, ricordo la nostra corsa verso casa, il vento impetuoso che non mi faceva respirare e il tragitto in macchina verso il suo studio. Ricordo di aver pensato che quel vento me l'avrebbe portata via... ed è stato così.
Inizialmente il veterinario ci disse che i linfonodi si erano gonfiati nuovamente, ma che forse si poteva ancora aumentare le dosi di cortisone, fece però un prelievo a Rhoda e poi la fece uscire in strada con mio marito.
Io e mia figlia rimanenno in ambulatorio per sapere il risultato degli esami del sangue e furono un disastro, i valori completamente alterati, una leucemia fulminante, nessuna speranza.
Mia figlia dovette richiamare Rhoda e lei arrivò scodinzolando come sempre... una cagnona straordinaria, felice fino alla fine.. e poi tutti e tre insieme, accanto a lei per affrontare il suo lasciare questo mondo. Non pensavo di avere il coraggio di farlo e invece lo trovai, le tolsi una fascia che aveva sulla zampa, la accarezzai e le parlai fino alla fine, lo stessero fece mio marito e mia figlia.
Ci ritrovammo per strada senza di lei ma con in mano il suo guinzaglio e il foglietto della cremazione, le ultime cose che avevamo di lei... Il 24 dicembre Rhoda sarebbe tornata a casa in una piccola urna e sarebbe stata con noi per sempre.
Un dolore così grande lo può capire solo chi l'ha provato e infatti abbiamo avuto l'abbraccio generoso dei nostri amici più cari. Naturalmente ci siamo anche sorbiti lo scherno di chi ha continuato a dirci che in fondo era solo un cane e ci chiamava pazzi ed esagerati....
Rhoda era indubbiamente un cane, ma è stata una compagna di vita sincera, fedele, amorevole, ci ha dato tutto l'amore di cui era capace senza mai tradirci. Meglio lei cento volte di tanti umani aridi ed ignoranti.
E allora alla nostra Rhoda, che ora ha il compito importantissimo di stare accanto al mio papà, dico un grazie di cuore. Non la dimenticheremo mai!
Il nostro ricordo di Rhoda nel dicembre 2005