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lunedì 15 giugno 2015

Perchè abbiamo paura dei migranti

Arrivano via mare, qualche volta ce la fanno, altre volte  muoiono annegati, ma noi abbiamo il dovere morale di aiutarli. Quante volte ognuno di noi ha mostrato preoccupazione e anche fastidio per l'arrivo indiscriminato dei migranti? Direi tante. Non ci spaventano però il colore della loro pelle, la loro religione o la loro cultura, siamo preoccupati per il loro futuro in Italia e per le scelte inique fatte dal governo che assegna loro denaro e servizi che molti italiani in difficoltà non hanno. Forse, più realisticamente, siamo preoccupati di avere un governo che non informa e non può o non vuole, organizzare equamente la permanenza degli immigrati nel nostro Paese.
Ieri, davanti alle immagini del naufragio nel canale di Sicilia e all'opera incessante dei nostri soccorritori qualche cosa in noi è cambiato. Novecento morti hanno lasciato il segno e così, sentendo le storie di queste povere persone, abbiamo capito che non ci sarà blocco navale che tenga, non ci sarà niente che li possa fermare, nei loro Paese ci sono guerre, fame, sfruttamento e disperazione ed è per questo che loro fuggono e continueranno a fuggire e lo faranno a qualsiasi costo.

mercoledì 30 maggio 2012

La forza della vita nella sofferenza


“A volte arriva in modo silenzioso e subdolo, come la muffa sul muro, oppure irrompe nella quiete di casa nostra come un bandito, con prepotenza: arriva il dolore. È la sofferenza causata dal distacco di persone care, di situazioni di vita disperate, dalla difficoltà di vivere in pace con noi stessi o con gli altri oppure è causato dalla solitudine o dalla malattia sia essa del corpo o dello spirito …” (Dal messaggio dei Vescovi italiani per la 31a giornata per la vita).
Leggo questo messaggio il giorno dopo aver visitato un malato terminale: mi sono sentito fragile e miserabile di fronte alla sofferenza di quest’uomo, la mia sicurezza, la mia spavalderia si sono infrante di fronte al volto della morte. Un volto che si è presentato ai miei occhi con tutta la sua tracotanza, la sua crudezza, mi sono sentito impotente, deluso, senza desiderio, privo di speranza. Quel Dio che io cerco, per un attimo ho pensato che fosse invenzione dell’uomo per lenire la disperazione. Ma la disperazione è il passo verso il nulla, il disperato è colui che non vede il domani è un uomo senza più legami, senza appigli, in balia delle tempesta e il vento del dolore.
In questa condizione è impossibile credere, perché il dolore ti paralizza, ti toglie il respiro e credi che la morte e meglio della vita. La disperazione si fa depressione, sfiducia in se e negli altri, rinunciando a qualsiasi sentimento. Il passo successivo è la negazione della propria identità.
Non riesco a non pensare a quell’uomo, disteso tra le braccia della morte, chiuso nella sua solitudine. Si perché dolore è spesso solitudine. Noi cristiani amiamo esorcizzare il dolore e abbiamo sostituito i crocifissi tanto cari a Teresa D’avila, Caterina da Siena, con dei crocifissi di un Cristo che non soffre, con un corpo composto, senza nemmeno una ferita, impedendoci di guardarci dentro e penetrare i sentimenti più recessi.
Quando ho provato a parlare del dolore di quest’uomo, dopo un attimo, tutti, hanno cambiato discorso. Sono consapevole che la sofferenza fa paura, ma non possiamo aggirarla, soggiogarla, infinocchiarla, prima o poi arriverà: « in modo silenzioso e subdolo, come la muffa sul muro, oppure irrompe nella quiete di casa nostra». Quindi, il dolore si deve tramutare in speranza, perché chi ha speranza crede ancora nella vita. È importante credere, è necessario credere, perché ti fa vivere e la sofferenza acquista un significato, un senso. «La sofferenza è l’unico mezzo valido per rompere il sonno dello spirito» (SAUL BELLOW ). Certo, il malato terminale fa paura, hai difficoltà a guardarlo negli occhi, Giobbe lo descrive in maniera drastica: «a mia moglie ripugna il mio alito, faccio schifo ai figli del mio ventre» (19,17). È disperazione ma anche speranza, è tenebra ma anche luce, è distruzione ma anche purificazione. La sofferenza è anche trasfigurazione del corpo e dello spirito: «nulla di più fiele del soffrire, nulla di più miele dell’aver sofferto; nulla di fronte agli uomini sfigura il corpo più della sofferenza, ma nulla di fronte a Dio abbellisce l’anima più dell’aver sofferto» (Meister Eckhart). La sofferenza ci da anche la forza che non immaginavamo di avere. Mai come nel dolore ci si accorge di non avere un corpo, ma di essere un corpo che è segno di una realtà più profonda. Un corpo da amare, rispettare, divinizzare.
Porterei quel corpo morente di quell’uomo all’ingresso di ogni scuola, di ogni ufficio, di ogni Chiesa, nelle riunioni dei grandi della Terra, nei Concili ecumenici, nelle riunioni parrocchiali e nelle riunioni condominiali, perché tutti si rendessero conto che: «la mia esistenza […] è un nulla. Solo un soffio è ogni uomo che vive, come ombra è l’uomo che passa; solo un soffio che si agita»( Sal 39, 6-7). Lo porterei perché nella nostra società contemporanei regna la cultura del “divertimento a tutti i costi”. Divertimento vuol dire sposta¬re lo sguardo. Il divertimento è guardare qualcosa d'altro rispetto a quello che dovresti guardare. "Divertere" è il contrario di "converte¬re", cioè spostare lo sguardo su ciò che val la pena guardare.
Allora, ci divertiamo, dimentichiamo per non pensare, l’uomo si di-verte rispetto all'oggetto vero della sua volontà, del suo intelletto, del suo cuore, del suo desiderio e non pensa che la sofferenza rivela la nostra vera realtà, che manifesta il nostro limite di creature caduche, che fa scoprire quell’impotenza e quella solitudine insita nel cuore di ogni uomo. Davanti a quel malato mi sono chiesto: «Perché Signore? Fino a quando?» (Sal 13). Purtroppo il dolore nei credenti resta sempre uno scandalo, perché continuano a vivere nell’oscurità, invece di intravedere nella sofferenza uno spiraglio di luce.
Allora, coraggio, viviamo nella speranza di scoprire la perla più bella, penetriamo gli abissi del dolore:
«Come un pescatore di perle, o anima mia, tuffati.
Tuffati nel profondo, tuffati ancora più giù, e cerca!
Forse non troverai nulla la prima volta.
Come un pescatore di perle, o anima mia,
senza stancarti, persisti e persisti ancora,
tuffati nel profondo, sempre più giù, e cerca!»
(Swami Paramânanda ).