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mercoledì 27 aprile 2011

Il perdono è dei grandi uomini

" Gusen, 26 maggio 1945 sabato
Ieri sera il Dott. Piéta leggeva a Pawlak la deposizione del colonnello Ziereis. I tre ordini ricevuti dal Burgermeister Pohl erano di ucciderci tutti con questi mezzi: 
1 -  far saltare con la dinamite l'imboccatura del tunnel pieno di prigionieri, previa introduzione di gas
2 - cannoneggiare il campo dove rimanevano i servizi e l'ospedale con malati e personale
3 - veleno per i rimanenti
Ziereis ha dichiarato, a sua discolpa tardiva, ma a noi utile, che egli nonostante le insistenze di Pohl, non aveva predisposto nulla per questa carneficina, perchè gli ripugnava. Ha lasciato una lettera alla moglie nella quale la invita a venir qui a deporre sul modo volgare e prepotente con cui era trattato dal Burgermeister.
Zeireis è morto in seguito alla ferita; era stato colpito sul lato destro vicino all'ombelico.
Il dottor Piéta era presente alla deposizione.

Tanti morti in quei giorni!  Guardando fuori dalla mia finestra vedevo il cadavere di Ziereis impiccato al reticolato. Un gruppo di deportati l'aveva appeso nudo sulla rete, ormai prima di corrente elettrica, con una croce uncinata e un " Heil Hitler" dipinti sulla schiena: Ci è rimasto per due o tre giorni. Avevo anche pensato di fare un disegno, ma non l'ho fatto. Ero stufo di vedere e disegnare  morti"


e ancora, sempre a proposito degli orrori subiti:


"La roccia, l'umana roccia, mantiene dignità anche se non compie alcun atto di giudizio, se non mette in esecuzione la condanna....
La Provvidenza ti salva talvolta senza che tu lo avverta, ti porta fuori dal pericolo, così come l'acqua lascia il fuscello appoggiato alla sponda.... Sia ringraziato il Signore, è già molto che il gran fiume abbia depositato il mio sacco sul limo della spiaggia."


DAL DIARIO DI GUSEN di ALDO CARPI
(il Diario di Gusen è l'unico diario italiano uscito dal lager)


Leggendo Carpi mi viene in mente mio padre, deportato con lui a Gusen e suo caro amico. Quante affinità tra questi due uomini! Entrambi conoscevano il nome del delatore che li aveva denunciati ai fascisti e ai nazisti, entrambi hanno passato la maggior parte della loro deportazione a Gusen, entrambi avevano un amore infinito per la loro famiglia ed erano animati da una grande fede, una fede che ha permesso loro di perdonare i loro aguzzini e non dopo anni dalla liberazione del campo, ma da subito. Non erano  uomini comuni, ma "rocce umane"... perchè  il  perdono è solo dei grandi uomini.
Mio padre aiutò diverse volte il Prof. Carpi e lui gli fu riconoscente per tutta la vita e scrisse di "quel bravo giovane" sul suo Diario di Gusen. Dopo la deportazione, rientrati a Milano, i due si incontrarono in diverse occasioni, rimasero legati da un sincero affetto.

mercoledì 6 aprile 2011

Carpi, i foglietti che dipingono l' orrore

Riporto  un articolo del Corriere della Sera che ricorda Aldo Carpi, il grande pittore milanese e il rettore dell'Accademia di Brera. Nell'ultima parte dell'articolo Carpi cita mio padre, Ferdinando Valletti. Certo ero al corrente del fatto che mio padre gli aveva salvato la vita, ma vedere l'articolo di giornale mi ha molto commosso. Ho sempre sentito parlare del Prof. Carpi, mio padre gli telefonava spesso, un'amicizia grande che si era forgiata negli orrori del lagher di Mauthausen. Si salvarono entrambi.
Manuela Valletti

Carpi, i foglietti che dipingono l' orrore
un profilo del pittore Aldo Carpi, " l' ultimo grande scapigliato "
Per due giorni parlo' senza interruzione, poi tacque. Quando torno' a casa, dopo un anno e mezzo, il pittore Aldo Carpi, "l' ultimo grande scapigliato", non dimentico' nulla del lager, ma ne avrebbe parlato malvolentieri. Gli era rimasto nel naso l' odore del gas, diceva ogni tanto. Venne arrestato il 23 gennaio 1944 a Mondonico, in Brianza, dove era sfollato con la famiglia. Fu denunciato per attivita' antifascista da uno scultore, Dante Morozzi, un insegnante di Brera. Quella domenica mattina Carpi, dal suo studio, vide un gruppo di fascisti risalire la strada e dirigersi verso la sua casa, all' altra estremita' del paese. Avrebbe potuto fuggire, ma non fuggi' . Preferi' consegnarsi, per evitare che prendessero i suoi figli. Quel giorno Aldo Carpi stava ultimando L' arresto degli Arlecchini, un quadro a olio che raffigura quattro nerissimi poliziotti che inseguono sei arlecchini trasparenti. Sei come i suoi figli, che sperava "imprendibili come una nuvola". Ma furono catturati. Uno, Paolo, fu ammazzato a diciassette anni a Gross Rosen, alle nove del mattino del 25 febbraio 1945: con una iniezione di fenolo, perche' quel piccolo campo della Slesia meridionale non disponeva di camere a gas. Per Aldo prima Mauthausen, poi Gusen. Quando torna a casa, conta i figli: uno due, tre, quattro, cinque. Manca Paolo. Anche Pinin, che nel ' 45 aveva ventisei anni, aveva fatto la sua Resistenza: dura, durissima. Benche' ora riesca a parlare di arresti, del carcere a San Vittore, di interrogatori, di fughe e di appostamenti, della vicenda di suo padre, di Paolo come se raccontasse una delle tante storie per ragazzi che ha scritto in questi anni. Qui purtroppo non ci sono ne' leoni parlanti ne' gnomi ne' fate ne' maghi: qui e' tutto atrocemente vero. Ricorda suo padre, Aldo, tornare nella casa di via De Alessandri, che era stata sede delle prime riunioni del Cln: il corpo (un metro e ottanta) smagrito, i quaranta chili registrati il giorno della liberazione erano di poco aumentati, sente ancora nelle orecchie l' urlo di gioia di sua madre. Ricorda i foglietti minuscoli, riposti nella pellicola piegata di una radiografia che per un anno e mezzo suo padre tenne nascosta sul petto: "Se li avessero trovati lo avrebbero ammazzato". Quei foglietti contenevano il famoso Diario di Gusen, che Pinin Carpi avrebbe trascritto e pubblicato da Garzanti nel 1971. La seconda edizione, rivista e ampliata, e' da poco uscita nei Tascabili Einaudi con una introduzione di Corrado Stajano e con una nuova appendice, e verra' presentata oggi pomeriggio (alle ore 18) nella Sala Teatro della Accademia di Brera. Forse l' unico diario scritto in presa diretta, giorno dopo giorno nel lager. Aldo Carpi avrebbe poi testimoniato quella tragedia anche in molti disegni realizzati nei decenni seguenti. Ma quelle note, scritte sulle ricette di un medico, furono redatte tra il 1944 e il ' 45: "Un documento di religiosita' profonda . scrive Stajano ., una lezione di pudore, di dignita' e di coraggio che incute commosso rispetto". Pinin ricorda la religiosita' dei suoi genitori: "Una religiosita' molto sentita, ma tutt' altro che bigotta: mio padre, anche dopo il campo di concentramento, rimase un uomo dolcissimo con noi. Non sembrava cambiato per niente". Il vecchio partigiano Ferdinando Valletti, operaio dell' Alfa Romeo, anch' egli finito a Gusen per avere organizzato uno sciopero, vedendo Aldo sul letto di morte, ricordo' i giorni del lager, quando a uno a uno i deportati cercavano consolazione nella fede, nelle parole di Aldo Carpi. Il quale, precocemente invecchiato li' dentro, a 57 anni, continuava a dipingere ritratti per i suoi aguzzini, i loro figli, le loro donne. Valletti lo aveva salvato quando, appena arrivato a Gusen, Aldo fu messo a lavorare in una cava, dove le SS avrebbero voluto seppellire i cadaveri delle loro vittime. Doveva raccogliere e trasportare i massi che venivano fatti rotolare dall' alto. E lui non stava piu' in piedi. Fu Valletti a sostenerlo, a nasconderlo, a curarlo ormai moribondo. Poi, un medico polacco lo porto' nel suo studio e gli propose di fare quadri per gli ufficiali. Fu questo "dipingere con la testa nel sacco" a salvarlo. Non certo a fargli dimenticare i giovani russi che dalla sua finestra vedeva gettarsi contro i reticolati dell' alta tensione, disperati dopo le torture. Oppure il volto dell' Alfredo Borghi, un operaio, che dalla camera a gas, in attesa della fine, urlo' : "Carpi, damm de bev".

Di Stefano Paolo

sabato 22 gennaio 2011

27 GENNAIO 2011- GIORNO DELLA MEMORIA

”Spaventa il pensiero di quanto potrà accadere fra una ventina d’anni quando tutti i testimoni saranno spariti. Allora i falsari avranno via libera, potranno affermare o negare qualsiasi cosa.” 
 Primo Levi

Proprio per questo motivo, perchè molti testimoni se ne sono andati per sempre, sento il dovere morale di continuare ciò che il mio papà Ferdinando Valletti aveva iniziato a fare negli  ultimi anni della sua vita, testimoniare nelle scuole, ai giovani e ovunque ove se ne senta la necessità, la tragedia della deportazione nei lager nazisti.
Ecco brevemente la sua storia, la trovate per esteso sul mio libro "Deportato I57833 voglia di non morire" che in questi giorni presento in diverse scuole.
Mio padre venne deportato a Mauthausen nel marzo 1943 a seguito degli scioperi che coinvolsero le gradi fabbriche del Nord, venne indicato dai suoi compagni come uno degli organizzatori delle scioperi all'Alfa Romeo di Milano, venne arrestato dalla Muti e dopo un breve soggiorno nel carcere di San Vittore, tradotto su un piccolo camion con altri 49 prigionieri, al Binario 21, il binario sotterraneo tragicamente noto proprio perchè da li partivano i carri bestiame diretti ai campi di sterminio nazisti.
Giunto a destinazione con altri 22 compagni dell'Alfa, subi tutto quanto è umanamente possibile subire in quel maledetto campo, si prodigò per i compagni, ne salvò alcuni fino a che  un giorno gli venne chiesto se lui, ex mediano del Milan, fosse stato in grado di giocare a calcio... 
Sembra incredibile ed invece quella fu per mio padre, "la partita del cuore"... rispose al Kapò che lo aveva interpellato che lui giocava bene a calcio e si trascinò su quel campo dove i giocatori erano SS e l'erba era mista alla cenere che  usciva dai forni crematori, giocò scalzo e con la divisa a righe, cercò di non sbagliare.. sapeva che se lo avesse fatto sarebbe stato ucciso all'istante, la sua vita valeva molto meno del pallone che stava calciando. Ci riuscì, giocò bene e venne chiamato altre volte in campo quando mancava qualche SS per fare la squadra. Si guadagnò un posto nelle cucine e la sera tornava in baracca con gli avanzi nasconsti tra il piede e gli zoccoli per aiutare i cuoi compagni.Rimase nei campi di Mauthausen e Gusen fino al maggio 1945, seguì gli americani in un campo medico, le sue condizioni fisiche non gli consentivano di venire subito in Italia. Non parlò mai degli orrori che aveva vissuto, ma mi raccontò spesso che il pensiero di avere una figlio che ancora non conosceva lo aveva aiutato a tenere duro e la sua fede aveva fatto il resto.
Proseguì la sua vita da uomo libero senza mai voltarsi indietro, non manifestò mai rancore per il male che aveva subito, ma la deportazione rimase dentro di lui  come un tarlo e nonostante una carriera professionale densa di successi ed encomi (divenne dirigente dell'Alfa Romeo e Maestro del Lavoro e insignito dell'Ambrogino d'Oro dal Sindaco Aniasi) decise di dedicare gli ultimi anni della sua vita a raccontare la sua vicenda nelle scuole.
Da quando mio padre mi ha lasciato ho scoperto che la sua deportazione fa parte anche di me e che quindi ora sono io a dover raccontare la sua storia, lo faccio con molta semplicità, con rigore storico, ma soprattutto con il cuore, ogni volta che qualcuno manifesta il desiderio di non dimenticare...
Manuela Valletti

lunedì 29 novembre 2010

Importanti novità per l'Associazione Culturale Ferdinando Valletti

Il mio libro Deportato I57633 Voglia di non morire e il documentario che ha lo stesso titolo  realizzato dal regista veronese  Mauro Vittorio Quattrina hanno trovato  una collocazione ufficiale sul sito dedicato ai lager nazisti.
Sono particolarmente lieta che ciò sia accaduto  perchè la recensione di Maurizio Agostinelli  è molto gratificante e tutto ciò contribuirà a far conoscere  il libro e il documentario in gennaio, il Mese della Memoria.
Ecco dove potrete leggere del mio libro

Alla figura di mio padre Ferdinando Valletti è stata dedicata la scultura di Angelo Melaranci  "Voglia di non Morire". Angelo mi ha fatto un regalo meraviglioso facendomi dono della sua opera.
La scultura sarà presentata ufficialmente a Milano al Circolo Ufficiali nella serata in cui sarà presentato il mio libro e il documentario di Quattrina nel prossimo mese di gennaio.

"Voglia di non morire"
di Angelo Melaranci





giovedì 22 luglio 2010

Dedicato a papà Ferdinando

"Per ogni sorriso donato a chi lo sapeva apprezzare, per ogni tuo istante vissuto intensamente. Libero e nello stesso tempo attaccato a tutto ciò che ti era caro. Ribelle e combattivo a volte, dolce e generoso altre.
Abbiamo condiviso con te gioie e dolori. Ancora non riusciamo a credere che tu non sia più con noi, quello di cui siamo certi è che ovunque saremo ci sarai anche tu, nei nostri cuori".
Milano, 23 luglio 2007


Sono passati tre anni e il mio dolore è immutato, reso solo più sopportabile dal tuo costante essermi vicino.
Grazie papà, ti voglio bene!
Manuela