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martedì 9 settembre 2014

STORIA DI ZITA E DOVIGLIO

Il collega  Maurizio Dalla Palma mi ha permesso di pubblicare questa bella storia di vita vissuta che riguarda i suoi nonni  ed è uno spaccato del periodo della guerra, in particolare di quell' 8 settembre che ha provocato lo sbandamento di tanti soldati Italiani.

La vicenda  ha per protagonisti un uomo e una donna di altri tempi, persone temprate dalla fatica di una vita  operosa, persone che oggi probabilmente non si trovano più. Ai loro sacrifici dobbiamo la nascita della repubblica. Non vi nascondo che quando leggo di queste atti di eroismo e guardo al nostro Paese oggi, mi si stringe il cuore. Hanno lottato e sofferto per noi, ma ne è valsa la pena? 

STORIA DI ZITA E DOVIGLIO, SEPARATI PER 2 ANNI DALLA GUERRA

L'armistizio dell'8 settembre '43 divide i miei nonni. Lui prigioniero, lei sola a casa, senza sapere dove fosse il marito. Vite parallele che potevano non incontrarsi più

L’8 settembre 1943, il giorno in cui l’Italia ha firmato l’armistizioed è uscita dalla guerra, i miei nonni materni sono stati divisi. Separati. Per quasi 2 anni non ricevono notizie l’una dell’altro. E mia nonna non sapeva se mio nonno «viveva o era morto». Fino alla conclusione del tutto imprevedibile, diversissima da La vita è bella di Roberto Benigni.
Sono tutti e due emiliani, i miei nonni. Lui, Doviglio (forse una alterazione del nome Duilio dovuta allo spirito libero e anarchico degli emiliani), soldato dell’esercito italiano, viene catturato dai tedeschi, diventati nostri avversari, e rinchiuso per oltre 18 mesi in un campo di prigionia. Lei, Zita (ha il nome di una vip di quando è nata: l’ultima imperatrice d’Austria), rimane a casa con un figlio piccolo, una figlia in arrivo, e tanti problemi da affrontare.
Per Zita e Doviglio, iniziano 2 vite separate, due storie parallele di un film.
Nei giorni successivi all’armistizio la caserma in cui si trova mio nonno viene attaccata dai tedeschi. Lui mi ha raccontato (nell’estate in cui avevo 16 anni? O è stato durante l’università, quando per un mese ho dormito dai miei nonni?) che c’è stata resistenza dei nostri militari, si è sparato, e dentro la cucina dove lui si trova vengono lanciate granate: per non essere investito dall’esplosione e dai frammenti di metallo, si getta sotto un grande mastello di legno.
Mia nonna viene a sapere della cattura del marito. Insieme a suo padre, con il pancione di una donna all’ottavo mese di gravidanza, raggiunge in bicicletta su strade di campagna la stazione ferroviaria del paese in cui vive e prende un treno per andare dove mio nonno è stato visto l’ultima volta, forse a Modena, forse a Verona, non l’ho mai chiesto. Lei ricorda una grande area recintata con filo spinato, le torri di vedetta per sorvegliare i prigionieri, le mitragliatrici puntate. Chiede a chi si può chiedere, ma di mio nonno nessuna traccia.
«Da quel giorno, per quasi 2 anni, io non ho saputo se tuo nonno viveva o era morto. Qualcuno mi ha detto di aver visto il suo corpo in un fosso. Altri giuravano che era stato deportato inGermania».

Ma Doviglio è vivo, viene fatto mettere in riga con altri italiani davanti a luride baracche, graduati tedeschi passano davanti a loro perché stanno cercando qualcuno che sappia fare una certa cosa. Urlano una parola che mio nonno non sa: bäcker! bäcker!
Lui chiede intorno: «Cosa vuol dire bäcker?». «Vuol dire panettiere». «Ma io so fare il pane!». E alza svelto la mano.
Sarà la sua fortuna nei mesi estivi in cui nel forno si raggiungono 50 gradi e nei mesi invernali quando fuori c’è la neve e la temperatura scende ben sotto lo zero. Non è esposto alle intemperie, fa un lavoro sopportabile e può mangiare, senza essere visto, qualche boccone del prodotto che prepara. Ne porta un po’ anche ai compagni che sono là fuori, pezzetti di pagnotta che lui chiude in un piccolo sacchetto e nasconde negli abiti, sotto il cavallo dei pantaloni, per sfuggire alle perquisizioni.
Intanto Zita è rimasta sola con prima uno e poi due figli piccoli. Un giorno un aereo militare (dei tedeschi? Degli americani?) spara raffiche di mitragliatrice sulla strada inghiaiata che lei sta percorrendo in bici per tornare a casa, cade, rotola in un fosso, batte la testa e rimane svenuta. Dopo molte ore («alle nove di sera, era buio e a casa piangevano perché pensavano che fossi stata uccisa») riprende i sensi e torna a casa. Il figlio maschio le viene incontro: «Mamma, mentre non c’eri è passato Pippo». Pippo è il nome dell’aereo che di notte bersaglia le case con le luci accese.
Un giorno Doviglio si sveglia con un forte dolore al ventre, nella parte bassa, a destra. Trema e ha la febbre. Non ce la fa questa mattina a raggiungere il forno. E ha paura. Sa cosa succede ai prigionieri che si ammalano e cadono ai lati dei percorsi nel campo di prigionia, ha visto come i soldati tedeschi mettono fine sul posto alle loro sofferenze.
Ma Doviglio vuole vivere.
E si fa venire un’idea. Nel viale che porta al forno vede passare un alto graduato («uno di quelli che avevano gli occhi che sembravano di fiamma»), si mette sull’attenti e grida «Heil Hitler!». Il tedesco si ferma di colpo, si avvicina, gli chiede cos’ha. E mio nonno, non so quante volte me l’abbia raccontato, mormora quelle due o tre parole di tedesco che volevano dire, mi scusi, se posso, dolore, male qui. E quel militare lo accompagna all’ospedale del campo, dove mio nonno viene operato d’appendicite e fa una breve convalescenza. «Vedi» mi diceva da bambino «Se non fossi stato svelto, se fossi come questo o quell’altro, sarei morto».
C’è una partigiana che va spesso a casa di mia nonna per farsi consegnare del cibo necessario a chi combatte in clandestinità. Prende latte, zucchero, burro. Ma mia nonna, oltre una certa misura, non può dare, perché ha due figli piccoli. Litigano spesso e un giorno Zita fa rotolare dai gradini dell’ingresso la partigiana, che si gira e la minaccia:
«Torno e ti uccido».
Mia nonna è in preda all’angoscia, è una donna rimasta sola e si domanda come fermare quel pericolo. Attraverso conoscenti, entra in contatto con un suo ex compagno della quinta elementare, un ragazzo che era diventato un capo partigiano. Che le dice: per questa volta faccio trasferire quella donna, ma la prossima volta devi stare attenta.
È arrivato il momento in cui mio nonno si deve mettere in marcia con migliaia di altri prigionieri lungo strade innevate. Vanno a Ovest, verso il cuore della Germania che sta crollando. Non so se sia perché i tedeschi stanno spostando la popolazione dei campi di prigionia verso il cuore dell’impero o se questo sia avvenuto dopo l’arrivo dei sovietici, che hanno sconfitto i nazisti. Mio nonno è in marcia e un giorno, a una sosta, con un altro compagno, scivola non visto fuori dalla strada, raggiunge una casa di campagna e trova due donne tedesche che, impietosite, danno agli uomini da mangiare. «C’erano polli e galline» mi ha detto Doviglio. Forse anche i figli, i mariti, i padri di quelle donne sono stati inghiottiti dalla guerra.
Un giorno Zita, che per quasi 2 anni non ha saputo se Doviglio «viveva o era morto», riceve una lettera che dice: suo marito, tornerà dalla Germania il tal giorno.
L’incontro avviene alla stazione dei treni. Lui scende: è smagrito, smunto, pesa meno di 40 chili. Mia mamma, nemmeno due anni,  nata un mese dopo l’armistizio del 1943, ricorda di essersi spaventata alla vista di quell’uomo tutto pelle e ossa che dicevano essere il suo papà. Lui ha lo stomaco rimpicciolito di due, tre volte. Per mesi Doviglio potrà nutrirsi solo con brodo, zuppe e liquidi, per anni non potrà mangiare la pasta, e ai festeggiamenti per il suo ritorno quasi muore per aver bevuto un sorso di liquore al momento del brindisi. Zita abbraccia Doviglio, si stringono. Ci sono lacrime, naturalmente. Poi lui la guarda, vede che la moglie, per farsi bella, ha accorciato i capelli dalla parrucchiera. E si arrabbia.
…………………………………………..

Se ho raccontato questa storia è perché è la storia di 700.000 militari italiani e delle loro mogli, madri, figlie, rimaste per quasi 2 anni sole, dopo l’armistizio dell’8 settembre, senza sapere «se lui viveva o se era morto».
Ha conservato la sua forza. A volte la vita si fa difficile e provo angoscia per il futuro. In quei momenti ripenso alla storia dei miei cari nonni, Zita e Doviglio. E ritrovo il coraggio.
Di  • in SOCIETÀ  


giovedì 23 maggio 2013

INTEGRAZIONE... MA PER CHI?


Riporto il mio articolo apparso oggi su Milanometropoli.com

Cominciamo a mettere un punto fermo: sono gli immigrati a doversi integrare e non i cittadini italiani , e lo devono fare conoscendo la nostra cultura, le nostre tradizioni, la storia delle città in cui vivono e rispettando tutto questo.
Il problema non è solo italiano ma in Italia sembra che si sia presa la questione sottogamba fin dall'inizio e i risultati drammatici si vedono ora.
Con il rispetto che dobbiamo agli immigrati quali persone non possiamo non notare che tanti fatti di sangue nelle nostre città li vedono tristemente protagonisti. 
Gli accadimenti di Milano, che dimostrano una violenza inaudita, e quelli di ieri di Londra che sono a dir poco raccapriccianti, devono far allertare le istituzioni sul problema della sicurezza e sulla necessità di bloccare l'immigrazione clandestina fino a quando saranno state concordate con il resto dell'Europa leggi idonee a controllare il fenomeno. La Danimarca nei giorni scorsi ha chiuso le frontiere e l'Italia dovrebbe seguirne l'esempio. 

Purtroppo la nomina a Ministro dell'Integrazione di Cecile Kyenge non ha aiutato, il neo ministro è partita lancia in resta, dichiarando di voler arrivare ad abolire il reato di immigrazione clandestina. A parole saremmo tutti caritatevoli ma quando si governa bisogna pesare bene ciò che si dichiara e il momento per una scelta del genere non è certamente questo per via della situazione economica molto grave in cui versa il paese e la mancanza di lavoro per gli stessi italiani.

E' giunto il momento di analizzare bene il fenomeno dell'immigrazione a livello Europeo e di elaborare insieme una legge che tuteli le identità delle popolazioni dei vari Stati e nello stesso tempo elabori un programma serio di integrazione per gli immigrati.

In questo momento in Italia, e a Milano, in particolar modo, si ha la netta impressione che ad integrarsi debbano essere gli italiani, che si ritrovano in balia di bande di immigrati non proprio pacifici.

MVG 

domenica 24 marzo 2013

Due Papi, tra storia e profezia

Oggi 23 marzo 2013 a Castel Gandolfo si sono fraternamente incontrati due Papi viventi, Papa emerito Benedetto XVI e Papa Francesco. Le immagini sono cariche di storia, i due Vescovi di Roma sono in perfetta concordia, si scambiano abbracci, pregano insieme e offrono l'impressione di una Chiesa rassicurante a tutto il mondo.



In realtà le dimissioni di Benedetto XVI hanno destabilizzato parecchie coscienze e, pur ampiamente motivate dallo stato di decadimento fisico di Papa Ratzinger, sono giunte dopo un periodo alquanto inquietante per la Chiesa, frastornata da scandali (Pedofilia, Ior, Vatileax) e dalle azioni del Corvo, identificato nel cameriere personale del Pontefice.
Benedetto XIV oggi avrà certamente provveduto ad informare il suo successore Francesco di tutte le notizie che potranno essergli utili per cambiare radicalmente il Vaticano, nonostante questo  e nonostante la figura illuminata di Padre Bergoglio, sono in molti a vedere negli accadimenti di questi ultimi mesi l'avverarsi di alcune profezie inquietanti.

Katharina Emmerick (monica agostiniana)  profetizzò, il 13 maggio 1820, un falsa chiesa con due papi: “Vidi anche il rapporto tra i due papi… Vidi quanto sarebbero state nefaste le conseguenze di questa falsa chiesa…”vidi una strana chiesa che veniva costruita contro ogni regola…vidi una strana chiesa che veniva costruita là (a Roma). Non c’era niente di santo in essa. .. Ho visto ogni genere di persone, cose, dottrine ed opinioni…Vidi cose deplorevoli: stavano giocando d’azzardo, bevendo e parlando in chiesa; stavano corteggiando le donne. Ogni sorta di abomini venivano perpetrati là. … Vidi anche degli ebrei che si trovavano sotto il portico della chiesa…” Queste profezie di Catarina Emmeric combaciano con Francesco, il sesto papa della chiesa conciliare. Francesco è stato ordinato sacerdote nel 1969 e si può partire dal presupposto che sia sacerdote. La consacrazione episcopale della chiesa conciliare invece è un rito dubbioso, forse invalido come le consacrazioni anglicane. Dunque Francesco probabilmente non è neache vescovo. L’ostilità di Francesco verso la santa Messa tradizionale e l’abito ecclesiastico; la sua apertura ecumenica a musulmani, protestanti ed ebrei; il suo rifiuto dei tradizionalisti che grossolanamente identifica con i fondamentalisti; il suo concetto spiritualistico della chiesa “essenzialmente spirituale” che ricorda l’eresia dell’era pneumatica di Goacchino da Fiore; di conseguenza la riduzione dei sacramenti a meri “gesti del Signore che non sono prestazioni o territori di conquista di preti o vescovi”: tutto questo è predetto da Katharina Emmerick nella visione de “la strana e falsa chiesa con due papi”

San Malachia, vescovo di Armagh nel XII secolo, avrebbe redatto una lista di 112 brevi frasi in latino che alcuni ritengono una premonizione sulla fine del mondo. Convocato nel 1139 a Roma da Papa Innocenzo II, avrebbe avuto una visione di futuri papi. La lista fu pubblicata nel 1595 da uno storico benedettino, Arnold de Wyon. I 112 pontefici sarebbero raffigurati da un motto in latino, da papa Celestino II (1143-1144) fino alle fine dei tempi, anche se alcuni motti sono generici e anteriori alla comparsa della profezia stessa.Secondo questa profezia, Papa Benedetto XVI sarebbe il penultimo della lista e l'elenco si concluderebbe con un Papa descritto come "Petrus Romanus", il cui pontificato coinciderebbe con la distruzione della città eterna e la fine del mondo. Chi è "Petrus Romanus"? Tutti gli indizi portano al camerlengo, che guida la Chiesa in assenza del papa. L'attuale camerlengo è il cardinal Pietro Tarcisio Bertone, nato a Romano Canavese. Semplice coincidenza?
Ovviamente nessuno è in grado i avere certezze, solo il tempo darà delle risposte. Ciò che è certo e che occorre registrare è l'incontro storico di oggi, siamo chiamati a viverlo in diretta e a tenerlo a mente, se non altro per dire ai posteri, noi c'eravamo.