E' di ieri la notizia che la Consulta ha respinto i ricorsi di Camera e Senato contro le eccezioni sul consenso espresso dai giudici di Milano che hanno autorizzato a porre fine alla vita di Eluana Englaro, la ragazza in coma dal 1992.
E' ben triste che una vicenda umana come questa sia finita in un tribunale e poi nelle sedi istituzionali, è ben triste che un padre si rivolga ai giudici per chiedere la morte della figlia.
Come al solito dico quello che penso e non voglio fare giri di parole: il papà di Eluana, anche se tutore della figlia, non può disporre della sua vita, poichè di vita si tratta. Eluana è in coma ma respira autonomamente e tanto deve bastare per dichiararla viva. Quest'uomo probabilmente è stanco e provato, sarà certamente anche addolorato per la povera ragazza, ciò che è capitato ad Eluana ha condizionato e condiziona la sua vita da 16 anni, ma allora, se è così, il problema è suo e lo è due volte. Da un lato la morte della figlia che invoca da anni, rappresenta la sua liberazione (non sembra che Eluana sia in sofferenza, non sappiamo, nessuno lo sa, che cosa provi questa ragazza, quello che sappiamo è che non si lamenta e respira da sola) e dall'altro se proprio è intenzionato ad ucciderla, lo faccia da solo e non cerchi la protezione della legge. In Italia non esistono leggi che consentono l'eutanasia, perchè di questo si tratta. Quindi se il Signor Englaro desidera che sua figlia non venga più alimentata gli strappi il sondino gastrico, lo faccia con le sue mani e affronti le conseguenze morali e legali del suo gesto.
Forse finirà in carcere e questo sarà certo un modo per mitigare il rimorso che inevitabilmente proverà e che è giusto che provi, per aver ucciso una persona.