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martedì 18 febbraio 2014

Segreto tra Francesco e Benedetto


Tra Francesco e Benedetto c’è un segreto sul papato
"Non può esserci un Pontefice emerito", aveva detto padre Lombardi. E invece... È un mistero. Illuminato da alcune parole di Ratzinger: "Sempre e per sempre"



È stato ricordato, l’11 febbraio scorso, l’anniversario della «rinuncia» al papato di Benedetto XVI. Il 28 febbraio sarà un anno dalla fine del suo pontificato. Ma è sempre più misterioso ciò che accadde in Vaticano un anno fa, proprio in questi giorni. E qual è la vera natura del «ritiro»  di Benedetto XVI. Nei casi precedenti infatti i papi dimissionari sono sempre tornati al loro status di cardinale o religioso: il famoso Celestino V, eletto nel 1294, dopo cinque mesi abdicò e tornò ad essere l’eremita Pietro da Morrone. 
E il papa legittimo Gregorio XII che, per ricomporre il grande scisma d’Occidente, si ritirò dall’ufficio papale il 4 luglio 1415, fu reintegrato nel Sacro Collegio col titolo di cardinale Angelo Correr, andando a fare il legato pontificio nelle Marche. Visti i precedenti lo stesso portavoce di Benedetto, padre Federico Lombardi, durante un briefing con i giornalisti, il 20 febbraio dell’anno scorso, alla domanda «e se decidesse di chiamarsi Pontefice Emerito?», rispose testualmente: «Lo escluderei. “Emerito” è il vescovo che pure dopo le dimissioni mantiene comunque un legame… nel caso del ministero petrino è meglio tenere le cose separate».
Le ultime parole famose. Appena una settimana dopo, il 26 febbraio, lo stesso padre Lombardi dovette comunicare che Benedetto XVI sarebbe rimasto proprio «Papa emerito» o «Romano Pontefice Emerito», conservando il titolo di «Sua Santità». Egli non avrebbe più indossato l’anello del pescatore e avrebbe vestito la talare bianca semplice. In questi giorni inoltre Benedetto XVI ha rifiutato il cambiamento del suo stemma pontificio, bocciando sia il ritorno a un’araldica cardinalizia, sia lo stemma da papa emerito. Intende conservare lo stemma da papa, con le chiavi di Pietro. 
Che significa tutto questo? Ovviamente è esclusa ogni vanità personale per un uomo che ha dato prova del più totale distacco dalle cariche terrene (del resto qui si tratta di cose teologiche, non certo di beni mondani). Dunque può esserci solo una ponderata ragione storico-ecclesiale, probabilmente legata ai motivi del suo ritiro (per il quale tanti hanno premuto indebitamente). Ma qual è questa ragione? 
L’unica spiegazione ufficiale si trova nel suo discorso del 27 febbraio 2013, quello in cui chiarì i limiti della sua decisione: «Qui permettetemi di tornare ancora una volta al 19 aprile 2005. La gravità della decisione è stata proprio anche nel fatto che da quel momento in poi ero impegnato sempre e per sempre dal Signore». Attenzione, sottolineo quell’espressione «sempre e per sempre», perché il Papa poi la spiegò così: «Sempre – chi assume il ministero petrino non ha più alcuna privacy. Appartiene sempre e totalmente a tutti, a tutta la Chiesa (…) non appartiene più a se stesso».
Poi aggiunse testualmente: «Il “sempre” è anche un “per sempre” - non c’è più un ritornare nel privato. La mia decisione di rinunciare all’esercizio attivo del ministero, non revoca questo». È incredibile che una frase simile sia passata inosservata. Se le parole hanno un senso, infatti, qua Benedetto XVI afferma che rinuncia «all’esercizio attivo del ministero», ma tale ministero petrino, per quanto lo riguarda, è «per sempre» e non è revocato. Nel senso che la sua rinuncia riguarda solo «l’esercizio attivo» e non il ministero petrino. 
Quale diverso significato possono avere quelle parole? Io non lo vedo. Per questo ci si deve chiedere che tipo di «ritiro» sia stato quello di Benedetto XVI. Sempre in quel discorso del 27 febbraio sembrò confermare la distinzione fra «esercizio attivo» ed «esercizio passivo» del ministero petrino. Disse infatti: «Non porto più la potestà dell’officio per il governo della Chiesa, ma nel servizio della preghiera resto, per così dire, nel recinto di san Pietro. San Benedetto, il cui nome porto da Papa, mi sarà di grande esempio in questo. Egli ci ha mostrato la via per una vita, che, attiva o passiva, appartiene totalmente all’opera di Dio». 
Di fatto a queste parole, alle espressioni «per sempre» e «ministero non revocato», si sono aggiunti poi gli atti di cui abbiamo parlato, ovvero la permanenza del nome Benedetto XVI, della veste, del titolo «Sua Santità» e dello stemma pontificio. Peraltro perfettamente riconosciuti da papa Francesco che l’11 febbraio scorso diffondeva questo tweet: «Oggi vi invito a pregare per Sua Santità Benedetto XVI, un uomo di grande coraggio e umiltà». Si tratta di una situazione totalmente nuova nella storia della Chiesa. Nei secoli passati infatti ci sono stati, e più volte, contrapposizioni di papi e antipapi, perfino tre per volta. 
Non c’erano mai stati invece due papi in comunione, che si riconoscevano a vicenda. Ho detto «due papi» considerando che uno dei due è il papa precedente, diventato «papa emerito», e che si tratta di una figura del tutto inedita. Qual è infatti il suo status teologico? E cosa significa il ritiro dal solo «esercizio attivo» del ministero petrino? Benedetto XVI, parlando ai cardinali prima del Conclave, ha anticipato la sua reverenza e obbedienza al successore. Tale è in effetti l’atteggiamento di Benedetto verso Francesco. E si è resa visibile la comunione tra i due quando hanno scritto a quattro mani l’enciclica “Lumen fidei”. Però colpisce il fatto che nel filmato del loro incontro a Castelgandolfo, come pure nella cerimonia tenutasi nei giardini vaticani per benedire la statua di S. Michele, si vedono i due uomini di Dio che si abbracciano come fratelli e non c’è da parte di nessuno dei due il gesto del bacio dell’anello del pescatore. Viene da chiedersi: ma chi è il Papa? 
C’è forse un segreto, fra loro, che il mondo ignora? O vanno considerati sullo stesso piano? Sappiamo che così non può essere perché per divina costituzione la Chiesa può avere solo un papa. Ma allora? Si aprono problemi nuovi e sorprendenti alla luce dei quali alcuni potrebbero anche attribuire significati inattesi a certi gesti di Francesco, come l’essersi presentato sulla loggia di San Pietro solo come «vescovo di Roma», senza paramenti pontifici o la mancanza del pallio nel suo stemma papale (il pallio è oggi il simbolo dell’incoronazione pontificia avendo sostituito il triregno).
Di certo chi oggi tenta di usare uno contro l’altro fa un atto arbitrario. Del resto certi lefebvriani e i sedevacantisti che contestano l’autorità di Francesco sono egualmente ostili a Benedetto. La preghiera costante di Benedetto per Francesco e per la Chiesa è forse il grande segno profetico di questo momento storico. Tuttavia non si può fingere che tutto sia normale, perché la situazione è quasi apocalittica. E non si possono evitare le domande: sulle ragioni delle dimissioni di Benedetto, su quanti le hanno volute, sulle pressioni indebite che le hanno provocate. E sul suo status attuale. 
Nei giorni successivi all’annuncio del ritiro, prima che egli precisasse la sua nuova situazione, anche “Civiltà Cattolica”, come padre Lombardi, aveva fatto una gaffe. Pubblicò infatti un saggio del canonista Gianfranco Ghirlanda dove si affermava: «È evidente che il papa che si è dimesso non è più papa, quindi non ha più alcuna potestà nella Chiesa e non può intromettersi in alcun affare di governo. Ci si può chiedere che titolo conserverà Benedetto XVI. Pensiamo che gli dovrebbe essere attribuito il titolo di vescovo emerito di Roma, come ogni altro vescovo diocesano che cessa». 
In ogni caso non «papa emerito». E invece Benedetto ha scelto di essere proprio «papa emerito». Deve esserci una ragione assai seria per decidere di «permanere» così. E le conseguenze sono evidenti. I suoi sono segnali molto importanti mandati a chi deve intenderli e a tutta la Chiesa. Segnala che egli continua a difendere il tesoro della Chiesa, sia pure in un modo nuovo. E sembra ripetere quanto disse nella sua messa d’insediamento: «Pregate per me, perché io non fugga, per paura, davanti ai lupi».

venerdì 28 dicembre 2012

Lettera aperta a Benedetto XVI


Santità,
mi ritengo da sempre una pessima cattolica, e forse è proprio per questo che non riesco a comprendere l'atteggiamento del Vaticano nei confronti delle imminenti elezioni politiche Italiane, che esalta la figura del Prof. Monti quale persona che vorrebbe “far salire” la Politica alla sua più alta funzione, ossia verso il bene comune.
Il prof. Monti lo abbiamo già visto al lavoro e mi pare che la sua azione abbia avuto conseguenze disastrose nei confronti di quel “bene comune” che il Vaticano sembrerebbe auspicare. A questo punto mi chiedo cosa intenda il Vaticano per “bene comune” e se, in merito, abbiamo concezioni diverse. Se non ricordo male la Chiesa Cattolica, in una delle Costituzioni scaturite dal Concilio Vaticano II, propose la seguente definizione di bene comune:
“l'insieme di quelle condizioni della vita sociale che permettono tanto ai gruppi, quanto ai singoli membri, di reggiungere la propria perfezione più pienamente e più speditamente”.
 Le chiedo umilmente se ritiene che le azioni di governo messe in atto dal Prof. Monti siano andate nella direzione giusta, se abbiano cioè creato almeno un minimo di condizioni della vita sociale che consentano ai singoli individui che compongono il popolo italiano di raggiungere la propria perfezione. A me pare, purtroppo, che l'ex governo Monti abbia creato le condizioni perchè interi gruppi e i loro singoli membri (esodati, cassaintegrati, lavoratori dipendenti di aziende private, pensionati al minimo, piccoli artigiani, piccole partite IVA, giovani disoccupati, padri di famiglia licenziati per fallimento delle aziende in cui lavoravano, etc.) siano stati  privati addirittura della speranza di poter mai raggiungere la propria perfezione. Io credo in Dio e, credendo in Dio, credo nella divinità dell'umano essendo egli stato creato a Sua immagine e somiglianza. Ma non credo che somigliamo a Dio nelle sembianze umane, bensì nella spiritualità che è in ciascuno di noi, spiritualità che per la Chiesa Cattolica dovrebbe coincidere con l'animaIl corpo umano non è altro che l'involucro, lo scrigno che custodisce l'anima, ed è un dono divino e come tale va amato e rispettato, curato e protetto. Gesù ci insegna, nel miracolo della moltiplicazione dei pesci e dei pani, che per salvare l'anima è anzitutto necessario curare il corpo, per questo moltiplicò i pani e i pesci, in modo che la moltitudine delle persone che lo avevano seguito mangiasse a sazietà “finchè ne vollero”. Gesù voleva forse  dirci che l'anima non può raggiungere la sua perfezione se lo scrigno (il corpo umano) non è forteTogliendo il lavoro alle persone, togliendo loro la possibilità di sfamarsi, di studiare, di curarsi, si mina e si indebolisce il corpo, si scalfisce lo scrigno che custodice il bene più prezioso: “l'anima” e l'anima potrebbe esserne irrimediabilmente compromessa.... e con lei il divino potrebbe lasciare per sempre l'umano.
Santità, io faccio appello a Lei, a Lei che siede sul trono di Pietro e a Lei soltanto, e Le chiedo se oggi saremmo ancora qui a parlare di Gesù se Egli fosse stato un sobrio? Se non fosse stato così umanamente e divinamente folle da scegliere la Croce, anziché più facilmente e comodamente rinnegare il Padre Suo e Nostro come gli veniva chiesto?
Le chiedo come può il Vaticano schierarsi così spudoratamente per una parte e non per il “bene comune” come dalla Chiesa definito? Siamo forse tornati alla Babele in cui tutti parlavano e nessuno si capiva più? E' forse una follia collettiva l'epoca in cui viviamo?
Santità, torniamo alla Parola, torniamo al Verbo, ci riporti a Dio.... non ci induca ad allontarcene più di quanto stiamo già facendo.
Con somma stima e profonda speranza e se in questa mia lettera ho peccato, chiedo da peccatrice il Suo perdono, ma mi aiuti a capire e a ritrovare il lume della Fede!
Una pessima cattolica

lunedì 16 marzo 2009

L’odio contro il Papa e il «fumo di Satana»

Non c'è neanche la possibilità dell'errore di traduzione, perché Benedetto XVI ha scritto di suo pugno la lettera ai vescovi in due versioni: italiano e tedesco. E quindi la parola usata è proprio quella: «Odio». Papa Ratzinger sente che si è diffuso, tra i membri stessi della Chiesa, questo forte sentimento di rabbiosa avversione e di profondo risentimento proprio nei suoi confronti, nei confronti del vicario di Cristo e successore dell'apostolo Pietro. Venisse da fuori, da coloro che sono extra ecclesiam, quest'odio non desterebbe scandalo e il pontefice non si sentirebbe tenuto a rispondere con una inconsueta lettera ufficiale. No. L'odio - dice Benedetto - viene da dentro, dalle membra del corpo, che si ribellano alla volontà del capo e covano dentro di sé cupi disegni di rivalsa e di vendetta.

Tornano alla mente le parole dell'allora cardinal Ratzinger alla Via Crucis del 2005: «Quanta sporcizia c'è nella Chiesa, e proprio anche tra coloro che, nel sacerdozio, dovrebbero appartenere completamente a lui!». Oggi è lo stesso Ratzinger ad annunciare che la sporcizia ha mutato forma ed è degradata in odio. Per essere chiaro e non prestarsi ad equivoci interpretativi, il Papa ricorre a un'immagine usata da San Paolo nella lettera ai Galati: quella del «mordersi e divorarsi» a vicenda come belve feroci. Benedetto afferma che sono state proprio le presenti circostanze a fargli comprendere meglio questo passaggio del testo paolino, da lui finora ritenuto una delle «esagerazioni retoriche» dell'apostolo delle genti. Scrive il Papa: «Purtroppo questo "mordere e divorare" esiste anche oggi nella Chiesa come espressione di una libertà mal interpretata».

E il risultato di questo mordersi e divorarsi - ammonisce San Paolo e ricorda Benedetto XVI - è la distruzione. Ergo: l'odio delle membra contro il capo può portare alla consunzione del corpo. E l'odio di vescovi, preti e teologi contro il Papa può portare alla disgregazione della Chiesa. Alla fine è questo ciò che è in ballo in questi mesi e in questi giorni, e forse potremmo dire in questi anni di pontificato ratzingeriano, in ciò paragonabile al drammatico papato di Paolo VI, anch'egli fortemente contestato (e, guarda caso, accusato come Benedetto XVI di «conservatorismo») da ampia parte degli episcopati e dalla casta teologica dominante dopo il Concilio Vaticano II.

E allora torniamo per un attimo proprio a Papa Montini e a quelle parole del novembre 1972 spesso citate, ma che oggi, alla luce della lettera di Papa Ratzinger ai vescovi e alla denuncia in essa contenuta di un odio nei confronti del pontefice radicato e diffuso nella Chiesa stessa, assumono ancor di più un profilo di profetica verità: «Da qualche fessura è entrato il fumo di Satana nel Tempio di Dio... Nella Chiesa regna questo stato d'incertezza; si credeva che dopo il Concilio sarebbe venuta una giornata di sole per la storia della Chiesa. E' venuta invece una giornata di nuvole, di tempesta, di buio». Queste parole non furono pronunciate da qualche lefebvriano smanioso di gettare fango sul Vaticano II, ma da colui che del Concilio fu uno dei maggiori e più convinti sostenitori (anche qui, come l'allora teologo Ratzinger): per questo sono ancor più autorevoli. E la prova della consapevolezza interiore con cui furono dette è nel dolore, nella sofferenza, nel dramma che consumarono la persona di Papa Montini negli ultimi anni della sua permanenza sul soglio di Pietro, quando egli dovette assistere alla ribellione di vescovi e teologi agli atti papali, allo svuotamento dei seminari, all'indebolirsi della presenza cattolica nella società.

Il riferimento a Satana fatto da Paolo VI è ancora più significativo oggi, nel momento in cui Benedetto XVI subisce una diffusa e pesante contestazione da parte di molti episcopati ed esponenti dell'intellighenzia cattolica, avente ad oggetto ancora una volta, in sostanza, il Concilio Vaticano II, e vede dietro tale contestazione il seme e il movente dell'odio. E l'odio, nei Vangeli, è il sentimento proprio del Maligno. E' la caratteristica del Demonio, la cui opera nella storia punta a dividere il corpo di Cristo, e quindi a distruggerlo per frantumazione. Più nella Chiesa ci si «morde e divora», più il «fumo di Satana» ha campo libero per entrare nel tempio. Per questo la denuncia dell'odio fatta da Papa Ratzinger nella sua lettera ai vescovi, più che lo sfogo personale del pontefice romano, deve essere considerata come un richiamo del vicario di Cristo a non lasciare che le tenebre, la tempesta e il buio spengano la luce della Verità. Quella Verità affidata a colui al quale duemila anni fa venne detto: «Tu sei Pietro, e su questa pietra edificherò la mia Chiesa, e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa».

Nota a margine
L'odio verso il Pontefice è preoccupante perchè l'odio distrugge, è fonte di disgregazione sia nella Chiesa che fuori e poi il Papa non si discute, il papà si ascolta e si segue, è la presenza di Cristo su questa terra e attaccando lui si mina il cattolicesimo alle sue radici!

martedì 13 maggio 2008

FINALMENTE UN PAPA CHE FA IL PAPA

Perchè stupirsi e criticare la parola del Papa? Benedetto VXI fa finalmente il Papa.
E' incredibile ci sia qualcuno che se la prende se il Papa attacca la pratica dell'aborto e la legge che l'ha resa accessibile in Italia. Si dice che il nostro stato è laico e che il papa non dovrebbe intromettersi...
Forse sarebbe meglio che ci fosse meno ipocrisia nei cattolici, politici e non. Non è possibile abbracciare il cattolicesimo e poi pretendere di non rispettare i suoi dogmi. Al Papa interessa la cosa più scandalosa, più intollerabile (anche e soprattutto presso noi «tolleranti»), la prevaricazione più inaccettabile che esista. Gli interessa il bene dell'uomo, la salvezza dell'uomo.
Il bene, il nostro bene, una luce che ci illumini e ci riveli per quello che siamo e a cui siamo chiamati: ecco la cosa veramente insopportabile, politicamente scorretta, socialmente ripugnante, personalmente offensiva. Il resto può andare bene: i riti cattolici sono pieni di fascino, la musica e l'arte sacra sono sublimi, l'azione della Chiesa nei riguardi dei poveri e dei sofferenti è riconosciuta e apprezzata. Si può anche provare nostalgia della messa in latino.
Ma il nostro bene, quello no. Allora ci arrabbiamo, come se il Papa ci volesse obbligare a qualcosa. Ma se Dio non ha violato nemmeno la libertà di Hitler! Dio ci ama anche nell'istante in cui sgozziamo nostra madre: se questo ci è incomprensibile, possiamo però farne esperienza. In molti hanno fatto esperienza di questo, e di molto altro. Questa esperienza si chiama cristianesimo. E continua a essere insopportabile. E lo è quanto più capiamo che le sue parole sono vere: il prodotto dell'aborto e della cultura che lo ha affermato come valore è sotto gli occhi di tutti nelle sue conseguenze nefaste sulla famiglia, sull'educazione e sulla società, specialmente per quanto riguarda la tutela dei più deboli.
Che ne sarebbe di noi, quando più nessuna voce si alzasse a ricordarci che la nostra dignità non sta in quello che ciascuno crede di essere, ma in un compito? Non ci resterebbe che adattarci tristemente al peggio, al quale, come tutti sanno, non c'è limite.

Come avevo scritto sabato, il mio nipotino ha ricevuto domenica la sua Prima Comunione e io ho ritrovato nel suo sguardo puro e nel suo essere commosso davanti al rito antico di mangiare il corpo e il sangue di Gesù, tutta l'essenza della mia fede. Poi i doni, i nonni, i parenti di mio marito e la festa, ma la vera emozione è stata proprio quella dell'incontro consapevole con Gesù di un bimbo sensibilissimo che è stato chiamato dal Don con entrambi i suoi nomi di battesimo e che ha risposto senza esistazione "Eccomi!" con gli occhi pieni di lacrime.

Benvenga allora il nostro Papa che non ha timore di professare a voce alta quello che pensa, che indica la via maestra per il benessere spiriturale e fisico dell'uomo. Benvenga un ritorno ad una chiesta più rigida e a cristiani più consapevoli. Come ho detto più volte, la Chiesa non è un autubus, non si sale e si scende quando si vuole.